In caso di Champions… rompere il vetro
Sì lo so, un titolo del genere per un articolo è davvero strano, ma andiamo con ordine e arriverò anche a spiegare di cosa si tratta. Tutto è nato da una bellissima serata organizzata dalla Compagnia del Caffè, associazione culturale unica nel suo genere, dedicata al mondo sportivo a 360 gradi. La serata è stata organizzata con uno dei giornalisti sportivi più noti e bravi dello sport bolognese, Beppe Tassi, che ha intervistato uno dei pochi superstiti del grande Bologna del settimo scudetto, l’83enne ex portiere Rino Rado, vice di William Negri.
L’intervista non è stata il solito scambio di ovvietà che ogni tanto sentiamo in TV ascoltando i giocatori di oggi, ma un piacevole tuffo nel passato da un punto di vista insolito, quello che si potrebbe definire di una ‘riserva da tribuna’ del tricolore 1964. Tassi, insieme all’intervistato, ci ha infatti accompagnato negli anni Sessanta, svelando che a quei tempi non esistevano i cambi durante la partita: una volta che l’allenatore decideva l’undici titolare, Rado e altri suoi compagni dovevano tenersi pronti fino ad un minuto prima del calcio di inizio, casomai qualcuno si fosse fatto male durante il riscaldamento, poi se tutti stavano bene si accomodavano in tribuna a tifare; se durante il match qualcuno alzava bandiera bianca, niente da fare, la squadra giocava con uno o più effettivi in meno.
Quello fu il destino di Rado per quasi tutto il campionato 1963/64, eppure nella sua carriera si è tolto tante soddisfazioni, sia sotto le Due Torri che in Nazionale. Era noto come un pararigori: «Ricordo con enorme soddisfazione quello neutralizzato a Gigi Riva nel suo stadio, a Cagliari – ha sottolineato Rino –. Io ero uno di quelli che non battezzava mai un angolo dove buttarsi perché ero molto reattivo e osservavo bene come i tiratori tenevano i piedi davanti a me. Bene, quel giorno Riva prese una rincorsa dritta e mi guardò fisso negli occhi: non mi spostai, lo fissai pure io e mentre tutto lo stadio lo acclamava lui tirò forte ma io sfoderai una grande parata».
Riguardo allo scudetto del grande BFC del 1964 abbiamo letto tanto e abbiamo rivisto le scene della città in festa, mi ha però colpito particolarmente la narrazione che ne ha fatto proprio Rado dicendo che per loro la festa fu andare a mangiare al ristorante: «Quella sera si poteva ordinare alla carta, poi tre giorni dopo siamo andati a Torino per giocare un’altra partita e non ci siamo davvero resi conto di quanto Bologna fosse impazzita di gioia». Niente pullman scoperto, niente bagno di folla, una cena con possibilità di ordinare alla carta… Altri tempi, bei tempi dico io. Sì, perché anche la sobrietà può essere uno stile di vita da invidiare, soprattutto in una società come la nostra dove se non ostenti sembra che non esisti.
Con la solita grazia e acume nel porre le domande, l’ex direttore di QS ha accompagnato Rino verso il presente, partendo da quella famigerata gara persa contro l’Anderlecht tramite la monetina sino ad arrivare alla Champions League che inizierà a breve: «Erano i primi di settembre e andammo a giocare contro l’Anderlecht – ha raccontato Rado –, sapevamo che avevano dei campioni ma non c’erano i video come oggi, non conoscevamo bene le loro tattiche. Per farla breve, nella prima partita saremo andati in fuorigioco venti volte: loro in difesa tenevano quattro elementi allineati, noi non eravamo abituati e stavamo alti a tal punto che quando lanciavamo Nielsen o Pascutti finivano sempre in offside. Niente da fare, lo squadrone che appena qualche mese prima aveva vinto lo scudetto perse 1-0. Bernardini nei giorni seguenti ci fece allenare per superare questo problema – ha proseguito Rino –, Nielsen faceva finta di scattare per poi tornare indietro e far infilare qualcun altro. Insomma, le tattiche si attuavano in presa diretta qualche giorno dopo aver visto all’opera gli avversari. Bernardini ne sapeva sempre una più del Diavolo: come noto, per lo spareggio di Roma l’Inter si allenò a 1.500 metri, noi invece andammo a Fregene una settimana prima del match e ci abituammo a quel caldo infernale».
«E alla fine questa monetina?», gli ha chiesto incuriosito Tassi. Così Rado ha ripreso il suo racconto: «La partita di ritorno si giocò a Bologna e terminò 2-1 per noi. Si andò quindi allo spareggio, da disputare a Barcellona nel famoso Camp Nou, uno stadio da 80 mila posti: ce ne saranno stati 15 mila di spettatori, ma essendo enorme sembrava che non ci fosse nessuno. Tra tempi regolamentari e supplementari la sfida si concluse 0-0, ma da regolamento non erano previsti i rigori: la sorte avrebbe deciso tutto. L’arbitro spagnolo tirò fuori una moneta da 5 pesetas con da una parte l’effige di Franco e dall’altra un’aquila. Il nostro capitano Pavinato, contrario alla dittatura, scelse l’aquila, l’arbitrò lanciò la monetina e incredibilmente questa rimase in piedi sull’erba, alcuni dicono leggermente inclinata dalla nostra parte. Si dovette procedere ad un secondo lancio e uscì la faccia di Franco: i belgi, esultanti, lanciarono le loro maglie bianche in aria, noi invece eravamo l’emblema della delusione: alla prima Coppa dei Campioni uscire così, per una monetina…».
Da questo episodio, da quella sfortuna nera che colpì i nostri amati colori rossoblù, prende vita il titolo del libro (un po’ romanzo, un po’ sequel del film Amici miei e un po’ docufilm degno delle migliori puntate di Report) scritto da Andrea Martelli, autore di diversi titoli di successo sul mondo dello sport e non solo. Talvolta le storie hanno bisogno di essere raccontate dall’angolo più piccolo che c’è, e questo libro che per l’appunto si chiama In caso di Champions rompere il vetro nasce da un filo d’erba dove si depositò la sfortunata monetina del 1964. La storia narrata accompagna i lettori fino ai giorni d’oggi, in una casa abbandonata con una scritta sul muro di fianco ad un quadro contenente la foto del Bologna dello scudetto: «In caso di Champions rompere il vetro».
Cosa c’entri il Bologna di Orsolini e compagni che mercoledì incontrerà gli ucraini dello Shakhtar Donetsk con la rottura del vetro di un quadro non posso dirvelo, rovinerei il finale di un libro e non è bene farlo. Se proprio vorrà e gli amici di Zerocinquantuno lo convinceranno, ci penserà direttamente l’autore Andrea Martelli.
Io nel frattempo torno a sognare l’inno della Champions League, che appunto inizieremo ad ascoltare dal tardo pomeriggio di mercoledì. Voglio solo ricordare a chi ha la memoria corta che questo traguardo se lo sono meritato sul campo non solo Zirkzee, Calafiori e ‘lo stranino’, ma anche tutti gli altri. Bisogna pertanto avere fiducia nei nostri ragazzi, del resto anche l’anno scorso ci sono voluti un po’ di episodi a noi favorevoli per convincersi che eravamo una bella squadra (magari il pareggio di Como può essere uno di quei momenti): siamo forti anche adesso e noi tifosi non abbiamo nulla da invidiare alla scritta You’ll never walk alone che campeggia sopra uno degli accessi di Anfield, e all’omonimo coro che risuona allo stadio prima di ogni partita.
In caso di Champions… ecco, adesso siamo proprio in quel ‘caso’: forza ragazzi!
Andrea Mascherini
© Riproduzione Riservata
Foto: uefa.com
Andrea Mascherini è il presidente di Coop Reno, partner di Zerocinquantuno dal 2016.