Con un inedito smarcamento rispetto alle posizioni del tecnico, tutta la dirigenza ha sostanzialmente negato l’interesse del Bologna per Ibrahimovic. Solo Mihajlovic, infatti, crede nella possibilità e nell’utilità di portare Zlatan a Bologna. Ma a remare contro l’arrivo dello svedese è soprattutto la congiuntura storica. Comprare l’ultimo anno di carriera di Ibra proprio alla vigilia della chiusura a tempo indeterminato degli stadi sarebbe come mettersi in casa un Monet e non farci entrare nessuno per ammirarlo. Oltre che paradossale, sarebbe pure controproducente. Roberto Baggio, nel 1997-1998, riuscì a convincere 27.336 abbonati, che portarono in dote a Gazzoni quasi 14 miliardi di lire. Di fatto, l’operazione si autofinanziò coi ricavi del botteghino. Perché Saputo dovrebbe imbarcarsi in un rischio imprenditoriale così grande nel peggior momento storico dello sport mondiale?
Se non c’è una valida ragione economica per portare Ibrahimovic in rossoblù, è tutto da immaginare il suo impatto sul piano tecnico. Il fuoriclasse di Malmö, infatti, non ha mai giocato in un club di fascia media. Pochi dubbi sul fatto che si guadagnerebbe subito il posto da titolare (a scapito di Barrow, il maggior investimento dell’era Saputo), ma a quel punto si dovrebbe costruire un sistema di gioco Zlatancentrico, condizionando le scelte tattiche e di mercato per tutta la stagione. In questo momento, però, stiamo ragionando di calciomercato come se la Serie A fosse già ripartita. E invece l’Italia fa ancora parte (con Grecia, Polonia, Romania e Slovacchia) di quel non lusinghiero novero di Paesi che non hanno ancora una data sicura per ripartire. Agli occhi di un proprietario straniero è proprio questa incertezza, forse, il maggior incentivo a non rischiare.
Luca Baccolini
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