Italia in mano ai burocrati, il calcio avrebbe potuto essere un grande strumento di solidarietà nazionale
Che sia il Ministero della Salute (lo stesso che sconsigliava il ricorso alle autopsie sui morti ‘di’ o ‘con’ COVID-19, quando invece si è capito quanto fosse importante l’esame post mortem per capire la pericolosità del virus) a stabilire i criteri di sicurezza sulla ripresa del calcio giocato, non è una notizia molto rassicurante. Ancora mi chiedo come sia possibile dare patente di credibilità ad un Governo che dal 18 maggio autorizzerà le messe in chiesa e non la riapertura dei teatri (stadi compresi, che sono teatri a tutti gli effetti, e per giunta all’aperto). Ma a due mesi esatti dal lockdown totale, è lecito chiedersi anche cosa abbiamo capitalizzato in questi 60 giorni. Il vaccino? Ovviamente no, ci vorranno anni. Una cura provvisoria? Forse, ma non v’è certezza. Protocolli di sicurezza validi in tutti gli aspetti della vita quotidiana? Nemmeno. Senza uno straccio di distribuzione organica e organizzata dei presidi sanitari (mascherine, gel igienizzante ecc.) entriamo nel terzo mese di tenebre confidando solo che il virus sia meno cattivo di com’è stato finora. A questo stiamo. Altri progressi, tolta la timida immunità di massa che ci stiamo dolorosamente costruendo, non se ne sono visti.
In questo stato di cose, la Serie A non sa ancora esattamente come farà a riprendere gli allenamenti, figuriamoci le partite. Mentre invece persino in Inghilterra, Paese che tra pochi giorni – se non tra poche ore – supererà il numero di contagiati dell’Italia, esiste già un’indicazione precisa della Federazione, che intende categoricamente concludere i campionati (com’è giusto che sia). Solo un miope può pensare che i calciatori possano essere esposti ad un maggior pericolo di contagio giocando anziché stando in casa per poi andare al supermercato a fare la spesa, magari senza guanti. È il calcio, con le sue risorse, a essere in realtà il garante dei presidi di sicurezza che non può garantire lo Stato: un garante per i giocatori, in primis, e volendo anche per gli spettatori, se si desse loro la possibilità di entrare negli stadi a distanza ragionevole. Ma l’Italia, nella gestione di questa crisi, si è scoperta un paesino governato da burocrati tremebondi, diffidenti dei loro stessi concittadini, che non per caso sono stati trattati come sudditi da punire o da premiare, e non come libere persone raziocinanti.
Il calcio avrebbe potuto essere un grande strumento di solidarietà nazionale, per attivare iniziative benefiche, per veicolare messaggi (in fondo non è stato Ciccio Caputo del Sassuolo a ‘inaugurare’ il lockdown con il suo cartello offerto alla telecamera?), per riportare serenità sociale. E invece è stato trattato come una nicchia di privilegiati da bastonare, in nome di un populismo paternalista che si è fatto governare dai dati del Coronavirus, anziché assumersi responsabilità.
Luca Baccolini
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