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Jerdy 30 e lode: la lezione del professor Schouten, che insegna calcio stando un passo indietro

Jerdy 30 e lode: la lezione del professor Schouten, che insegna calcio stando un passo indietro

Ph. Getty Images

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Jerdy Schouten è sorprendente. Per l’equilibrio che garantisce, per quanto sa cambiare volto ai possessi ogni volta che il Bologna sale palla al piede. Un attimo prima i difensori fanno circolare la sfera cercando uno sbocco che conduca la squadra nell’altra metà campo, e un attimo dopo quella sfera è tra i piedi di Schouten. Sempre pressato e sempre spalle alla porta avversaria, l’olandese è la prima frontiera del rischio, il riferimento a cui viene affidata la responsabilità di complicare i piani al pressing altrui.
E lì accade. Solitamente «ha gli occhi dietro la testa» lo si dice di chi vede spazi e giocate inaccessibili ad altri. Jerdy, coi suoi, vede la posizione del corpo del suo dirimpettaio che gli arriva addosso e fa sempre la finta giusta per disorientarlo, con quel ritmo tutto suo di chi sembra a spasso in giro per la città e invece a spasso ci manda gli altri. La pressione salta, i rossoblù respirano e Schouten smista il pallone a chi, a quel punto, ha l’onere e l’onore di concretizzare.
Tra il rischio e la gloria, Jerdy sceglie sempre il primo. Solo di rado tenta la verticalizzazione che possa immediatamente mandare in porta il compagno, ma non si nasconde mai quando un suo errore, un suo inciampo o l’eccessiva fiducia nei suoi mezzi potrebbero spalancare una prateria agli avversari.
Nell’ultima fase della gestione Mihajlovic ha vissuto un periodo di appannamento, coinciso con un fastidioso infortunio e in seguito con l’occupazione di una posizione che non gli era congeniale. Doveva infatti condividere la sua zolla con Dominguez, e questo comprometteva la regolarità di un ritmo che Schouten sembra aver già impostato prima della gara, come se sapesse in anticipo quali ciuffi d’erba calpestare, con quale esatto tempismo interdire la manovra avversaria. In questa sua programmazione di lavaggio (così avrebbe detto Sinisa, che l’aveva ribattezzato ‘lavatrice’), l’argentino rappresentava una variabile che il numero 30 non riusciva ad assorbire.
Nico è un combattente generoso, uno che rompe le righe e invade, e tra effettuare uno scatto in più o uno in meno sceglierà sempre i crampi. Un altro ingranaggio fondamentale, quindi, ma che deve agire qualche metro più avanti e lasciare Jerdy su un’isola: è restando da solo dietro la cattedra che il professor Schouten può insegnare calcio a chiunque. La prima lezione? Guai a sottovalutare il peso degli ingranaggi che non rubano l’occhio. Sono quelli talmente ben inseriti da non risaltare alla vista, all’apparenza invisibili, ma senza i quali la macchina non potrebbe mai funzionare a dovere.

Fabio Cassanelli

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Foto: Getty Images (via OneFootball)