La squadra non è indebolita ma ora il vero obiettivo dovrebbe essere lo spettacolo, non i 52 punti
La stagione più esaltante del Bologna negli ultimi dieci anni è stata quella in cui ha rischiato di finire in Serie B. Ma a meno che non si voglia rivivere uno 0-4 casalingo contro il nuovo Frosinone di turno, conviene attrezzarsi per finali di campionato meno ansiogeni. Questo, almeno, deve aver pensato Joey Saputo dopo quell’incredibile inizio 2019, quando in via dello Sport fu circondato da tifosi inferociti, venendo a contatto con una realtà antropologica da cui forse, in Canada, era stato protetto per anni.
Nella sua ultima apparizione bolognese, il chairman ha dichiarato di voler puntare ai 52 punti, traguardo formalmente ineccepibile ma sostanzialmente deludente: significherebbe superare d’un soffio i famosi 51 raccolti dal tandem Guaraldi-Setti (col primo costretto a regalare un prezioso Patek Philippe al secondo per aver clamorosamente perso la scommessa), e questo non è certo il livello di ambizione che ci si attenderebbe da un magnate il cui patrimonio personale è da moltiplicare per 300 rispetto all’ultimo fatturato di Futura Costruzioni.
Perché Saputo dice (solo) 52? Perché ha capito che il calcio italiano, con l’attuale status quo, non permetterebbe un salto di qualità strutturale ad un club delle dimensioni del Bologna. Fatto lo stadio, forse, si comincerà a cambiare prefisso alla quota punti desiderata. Forse, perché il vero ostacolo alla crescita del BFC è il modo in cui la Lega Calcio consente a pochissimi club di raggrumare il grosso dell’indotto, ampliando a dismisura le possibilità di spesa per gli ingaggi. Ecco perché quest’anno, nonostante il cambio di direzione tecnica, si è premuto forte sul pedale delle uscite, nessuna delle quali, però, talmente sanguinosa da far immaginare un declassamento delle proiezioni finali (basti ricordare la cessione di Tomiyasu, partito il quale sono arrivati cinque punti in più tra una stagione e l’altra).
Il tifoso, tuttavia, non è esaltato dall’idea di correre sotto la pioggia per rivedere (al meglio delle possibilità) un campionato da Guaraldi/Setti +1. E allora, forse, bisognerebbe cambiare paradigma: perché, per una volta, Mihajlovic e Saputo non parlano di spettacolo? Sì, lo spettacolo, il divertimento, il panem et circenses che da duemila anni giustifica il prezzo del biglietto al Colosseo come al Dall’Ara, nonché la seduta scomoda, la sofferenza del parcheggio a tre chilometri e il traffico per rientrare a casa. Perché bisogna sempre rimanere legati all’idolatria del numero finale in classifica, che peraltro non dice nulla dell’andamento reale di una squadra? Perché, in definitiva, il bel gioco non è più nelle dichiarazioni d’intenti di una proprietà?
Luca Baccolini
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