L’eventuale addio di Motta un calice amarissimo per senso di incompiutezza
Quando i due principali quotidiani sportivi italiani scrivono per una settimana di fila che diventerai l’allenatore della Juventus e l’unica smentita risuona come «non ho firmato nulla», significa che molto probabilmente diventerai l’allenatore della Juventus. Se la tecnica analgesica per far accettare meglio il peggiore tra gli addii possibili è quella di abituarsi per gradi, il risultato potrebbe essere stato anche raggiunto. Ma resterebbe comunque un calice amarissimo. Non tanto per il passaggio alla Juve, trapelato nella settimana in cui Madama si presenta al Dall’Ara come rivale diretta per il terzo posto, quanto per la sensazione di incompiutezza che questo addio lascerebbe.
Noi speriamo ancora che Motta voglia fare una virata a U prendendosi il rischio, ma anche il gusto, di misurare la sua squadra nella competizione più importante d’Europa. Vogliamo credere che anche lui, in fondo, desideri vedere che effetto fa mostrare ad un miliardo di persone la creatura che ha tirato su non a forza di sberloni, ma di calcio giocato bene, ammirato da tutti. La razionalità, invece, dice altro. La congiuntura di una Juventus indebolita e da rifondare, e di un Bologna arrivato oltre il massimo immaginabile, rende quasi ovvio l’attracco bianconero: là, tutto da guadagnare. Qui, solo da perdere (rispetto alla stagione che si sta concludendo con un trionfo quasi impossibile da ripetere).
Sono considerazioni umane e comprensibili, che non escludono il senso di gratitudine per l’impresa appena compiuta. Ma altrettanto legittimo è il desiderio di chi vorrebbe che i tempi frenetici del calcio lasciassero un po’ di respiro, rallentando la girandola di nomi, facce, eroi. Come è riuscita a fare l’Atalanta con Gasperini. Settanta partite con Thiago sono passate in fretta. Se ne arriveranno altre, sarà di nuovo festa in piazza Maggiore.
Luca Baccolini
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