Negli anni precedenti a Calciopoli era in voga l’espressione ‘sudditanza psicologica’. Stava a significare che un arbitro non si sarebbe mai permesso di fare un torto ad un grande club perché ne percepiva il potere.
Scoperchiata la cloaca di Calciopoli, abbiamo avuto la prova che proprio di ‘psicologia’ non si trattava: Luciano Moggi e la triade juventina intrattenevano con gli arbitri – e i designatori – rapporti fin troppo reali, tanto che ci sono sentenze penali a comprovarne l’associazione a delinquere e la frode sportiva per truccare i campionati con reati prescritti solo per i ritardi della giustizia italiana. La vulgata revisionista del ‘così facevano tutti’ non regge nemmeno quando è corroborata dalle recenti e sconclusionate rivelazioni di Report: il ‘metodo Moggi’ era il fulcro di un sistema di potere che dava vantaggi solo a coloro che si sottomettevano alla Vecchia Signora.
Il clamoroso rigore (e la conseguente mancata espulsione di Iling-Junior, che dieci minuti più tardi fornirà l’assist del pareggio) negato domenica sera al Bologna ci fanno ripiombare in quel clima.
L’avvento della tecnologia VAR portava con sé la promessa di rendere impossibili errori macroscopici come quello commesso da Marco Di Bello.
Presa per plausibile la sua ‘buona fede’ («Ho visto bene io, sono caduti assieme»), il Video Assistant Referee è fatto appunto per ‘assistere’ l’arbitro in caso di ‘chiaro ed evidente errore’. Meno plausibile, infatti, è che l’assistente video non abbia visto, ecco perché il ruolo del varista (termine orribile quanto ‘sudditanza psicologica’) Francesco Fourneau è decisivo.
Davanti ad un tale chiudere gli occhi, senza scomodare Sciascia, l’aggettivo più adatto è ‘omertoso’. L’omertà di chi ha dovuto applicare il regolamento pochi minuti prima per annullare in modo sacrosanto un gol per fuorigioco e non se la sente di intervenire due volte contro la società che, nonostante gli scandali precedenti, è ancora di gran lunga la più potente in Italia. Le incredibili proteste di Massimiliano Allegri (che però non ha avuto il coraggio di esplicitarle davanti alle telecamere ) sono lo specchio di questa mentalità, sopravvissuta anche alle dimissioni di Andrea Agnelli.
Avevamo gioito per la fine dell’era Nicchi all’Associazione Italiana Arbitri. Adesso sappiamo di aver peccato d’ingenuità: le timide sanzioni comminate a Di Bello e Fourneau lo confermano. L’incancrenimento dell’AIA è duro da curare.
Il ‘sistema calcio’ in Italia continua a sembrare immodificabile. Perché per cambiarlo servirebbe una nuova cultura, quella della parità di condizioni che è tipica dello sport americano: salary cap, sistema delle scelte, diritti televisivi più equamente distribuiti.
Le proprietà americane spingono in questa direzione. La Juventus e pochi altri club difendono lo status quo. Uno status quo che sta portando il calcio italiano sempre più vicino alla rovina economica e morale.
Massimo Franchi
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