L’ultima farsa: discoteche aperte, stadi… non si sa. Il problema di questo Paese non è certo il calcio
L’Italia è il Paese in cui oggi si può andare a ballare in discoteca, ma non a tifare allo stadio. Persa ormai la fiducia anche in quei partiti che della cultura – alta e popolare – facevano la loro bandiera, non rimane che assistere, molto increduli e poco divertiti, all’ultima farsa nazionale che ha preferito darla vinta ai DJ anziché al pallone. Senza nessun segno di stress ospedaliero (con 771 ricoveri totali contro il picco di quasi 30.000 all’apice dell’emergenza), con un numero di nuovi casi che oscilla tra i 10 e i 20 per milione di abitanti (ad oggi più o meno le stesse probabilità di esser morsi da un cane per strada) e con un tracciamento meticoloso di ogni nuovo focolaio, le società di calcio non hanno ancora nessuna certezza di poter riaprire gli stadi. Tutto questo, però, mentre vengono sciorinati meticolosissimi disciplinari sull’accesso (!!!) ai locali notturni. L’ultima ordinanza regionale in vigore dalle 13 del 15 agosto si è pure preoccupata di limitare del 50% la capienza delle discoteche, note a tutti (non è vero?) per aver fatto del contingentamento degli ingressi un punto di forza. Al 50% del pubblico che è riuscito ad entrare in queste tonnare umane sarà poi prescritto l’uso della mascherina: obbligo facilissimo da far rispettare, nella penombra e nel rumore di queste scatole assordanti. E poi la minaccia finale: chiusura immediata del locale in caso di mancato rispetto delle regole.
Dopo aver ostacolato la Serie A e virtualmente ucciso il calcio minore con l’assurdo e ideologico ostracismo dei mesi scorsi, costringendo i giocatori ad un tour de force che ha svilito e intristito lo spettacolo, ora il Governo sdogana con disarmante semplicità il potenziale focolaio delle discoteche. In nome di cosa e di chi, resta un mistero. E così, se a settembre avremo un numero di casi superiore a quello dei giorni attuali, il pallone rischia di restare a porte chiuse, o di fermarsi ancora. Tutto questo per far ballare qualche diciottenne sul litorale? La verità è che il calcio rimane, per la sua inevitabile ultravisibilità, la posta in palio di un dibattito politico avvelenato dal populismo più abietto («la macchina da soldi» e via parafrasando). Nessun politico ha avuto il coraggio di sottolineare con quanta attenzione e impegno economico le società abbiano affrontato i rigidi e a volte macchinosi protocolli sanitari, pur di garantire il rispetto delle norme anti-COVID durante gli allenamenti. Se poi qualcuno di loro crede che accogliere 10.000 tifosi in un luogo aperto che ne potrebbe contenere 30.000 sia più pericoloso che stipare 1.000 adolescenti che ballano, si faccia avanti. Così ce ne ricorderemo alle prossime elezioni (se mai ci saranno).
Luca Baccolini
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