Se si fosse dato ascolto al corposo partito anti-Mihajlovic (corposo e ben riconoscibile, almeno a giudicare da alcuni striscioni esposti fino a non molto tempo fa), la cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria avrebbe potuto avere per protagonista un ex tecnico del Bologna (immaginiamo l’imbarazzo). Invece i risultati recenti non soltanto hanno confermato Sinisa sulla panchina rossoblù, ma ne hanno anche rafforzato l’autorità, segno che l’umore popolare non è, per fortuna, la bussola con cui si orienta l’attuale dirigenza.
Dovesse arrivare, come tranquillamente arriverà, a fine campionato, il bolognese onorario – e onorato – Sinisa Mihajlovic sarà giunto a mettere insieme, strano ma vero, ben 152 panchine (compresa la prima esperienza nel lontano 2008-2009, quando debuttò da allenatore professionista su intuizione di Francesca Menarini). Non male per uno che ogni estate, da quando è a Bologna, si prende due settimane di tempo, a volte anche tre, per guardarsi attorno ed eventualmente salutare con sincero affetto club e città. Circostanza mai avvenuta, nonostante le lusinghe di Roma, Lazio e altre squadre non affiorate a livello di cronaca.
Se poi neanche il prossimo luglio dovesse cedere ad eventuali sontuose offerte (il contratto dice scadenza 2023), Mihajlovic diventerebbe l’allenatore più longevo di ogni tempo dal Secondo dopoguerra, superando un amatissimo mostro sacro come Bruno Pesaola (157 panchine in campionato). Difficile augurargli di restare a lungo come fece negli anni Venti-Trenta Hermann Felsner (che superò di slancio le 300 panchine, tutte sommate in quella che un tempo non si chiamava ancora Serie A), ma il record virtuale di Sinisa potrebbe cominciare a scalfire il mito della sua valigia sempre pronta. Chissà se anche il pubblico bolognese, al di là che sia d’accordo o meno con la cittadinanza onoraria, capirà l’importanza di un allenatore con radici ben piantate a Casteldebole.
Luca Baccolini
© Riproduzione Riservata
Foto: Imago Images