La finestra invernale di calciomercato volge al termine, dopo che nelle ultime settimane, come prevedibile, si è parlato tanto di ciò che manca al Bologna. Concluso l’affare Soumaoro, la concentrazione si è spostata sulla speranza che in attacco venga preso Arnautovic. Concordo, magari arrivasse! Ma vorrei anche provare a proporre un punto di vista diverso, perché ritengo che le difficoltà della squadra prescindano dall’acquisto di questo o quel giocatore. In buona sostanza, ci sono cose che non si possono comprare sul mercato. E provo a spiegarmi meglio.
Ripercorriamo la storia recente del BFC, considerando solo la presidenza Saputo per non tornare troppo indietro. Il primo obiettivo è chiaro: promozione in Serie A. Gli stimoli sono elevati e, pur con qualche patema di troppo, viene centrato. Poi, al ritorno nel massimo campionato, si deve affrontare un momento di difficoltà dato dai soli 6 punti che gli uomini di Delio Rossi riescono a racimolare nelle prime 10 giornate. La situazione è critica, e l’arrivo di Donadoni contribuisce a dare nuova linfa alla squadra. Con lui in panchina il Bologna cambia faccia e vive mesi straordinari, salvo sul lungo periodo iniziare ad accontentarsi di una salvezza tranquilla. È in quel frangente che le prestazioni calano, i punti ricominciano a scarseggiare e la società decide di aprire un nuovo capitolo.
La parentesi Inzaghi è difficilmente giudicabile, ma genera un punto in comune con le gestioni precedenti: quando il Bologna si trova in pericolo, con l’acqua alla gola, reagisce e dà il meglio di sé. L’arrivo di Mihajlovic, infatti, conduce alla cavalcata trionfale fino al decimo posto che tutti ricordiamo, e la stagione successiva il gruppo trova la forza per dare qualcosa in più facendo fronte comune durante il dramma umano di Sinisa. Quest’anno, lasciate alle spalle le preoccupazioni di classifica e la leucemia del mister, la situazione ‒ COVID a parte ‒ è serena e lontana dagli affanni, e forse non è un caso che fin qui i rossoblù abbiano ottenuto soltanto 20 punti in 19 giornate.
Del resto, Sotto le Due Torri si vive bene, la piazza è affettuosa e le pressioni sono minime. Il tifoso bolognese borbotta dopo le sconfitte, ma poi stempera subito la tensione con una battuta. Tale scenario, unito dal 2015 in avanti ad una società a misura di professionista, dove non manca davvero nulla, dovrebbe consentire di lavorare al meglio, invece può capitare l’esatto contrario. E parlo per esperienza diretta, avendo vissuto Casteldebole dall’interno, seppur in un momento storico diverso. In contesti del genere, anche in maniera inconscia, è alto il rischio di rilassarsi, di accontentarsi, cosa che nel calcio non ci si può assolutamente permettere: puoi essere bello e bravo quanto vuoi, ma senza il furore e la cattiveria agonistica che una partita d’alto livello richiede, rischi che alla fine vincano gli altri. Nella stagione in corso, purtroppo, ai rossoblù è già capitato varie volte.
Ricollegandomi a quanto scritto all’inizio, tanta gente in questi giorni sta evocando la necessità di un nuovo centravanti, ma quanti se ne sono avvicendati negli anni, e nonostante siano stati accolti come colpi risolutori hanno finito per deludere? I nomi li conoscete meglio di me, la lista è lunga… Cos’è successo? Non può essere che tutti questi ragazzi si siano adagiati e adattati al clima che si respira in città? Peraltro sembra che persino un uomo con la tempra di Mihajlovic si stia gradualmente rilassando, anche se io continuo a sperare che il mister non si trasformi completamente, perché a rimetterci sarebbe solo il BFC.
Qualcuno potrebbe obiettare che è stato vero anche il contrario, che negli anni Bologna è stata dipinta come la piazza ideale per far rinascere calciatori che stavano vivendo un periodo di appannamento. Quando si parla di giocatori come Baggio, Signori o Di Vaio, però, si sta parlando di fuoriclasse, di campioni, che in quanto tali fanno un po’ storia a sé. Loro tre avevano un talento e un carisma superiori, non necessitavano di motivazioni extra, e lo stesso si può dire adesso di Palacio. Il mio ragionamento vale più per quegli elementi che, non avendo la medesima personalità, beneficerebbero maggiormente di un ambiente che li tenga sulle spine.
Sotto le Due Torri, invece, molto spesso ci si ritrova a commentare una sconfitta elogiando comunque la buona prestazione della squadra, o invitando a non fare drammi. Ricordo bene, in questo senso, il monito di Mihajlovic dopo che il Bologna l’anno scorso perse 4-0 a Firenze. Sottolineò come l’indole pacata della piazza non dovesse far archiviare quella partita come un k.o. episodico, perché quella era stata una figuraccia che altrove non sarebbe stata perdonata con tanta leggerezza.
Come già premesso, più passa il tempo e più mi sembra che però lui stesso abbia finito per adeguarsi, cosa che ad esempio non ha mai fatto Ulivieri. Quando l’ho avuto come allenatore, sportivamente parlando l’ho anche ‘odiato’, perché era un martello. Conosceva questa realtà così bene da non permetterci di rilassarci, ci stimolava a tal punto da farci arrivare ad affrontare ogni partita con l’adrenalina a mille. Aveva capito che il Bologna non va solo allenato sul campo, ma anche mentalmente, per supplire alla mancanza di stimoli di una realtà fin troppo moderata.
Al netto della loro bravura, perché Gasperini e soprattutto Juric (considerato il valore della sua rosa) stanno facendo così bene? Perché oltre ad allenare in piazze più calde, non si rilassano mai. Se non è la città nella quale giochi a instillarti il veleno necessario, lo devi trovare dentro di te. A mio avviso nel Bologna attuale, senza voler minimizzare il lavoro che ogni calciatore è chiamato a svolgere su se stesso, devono essere in primis i dirigenti e il tecnico a trasmetterlo, perché hanno le competenze e l’esperienza giusta per farlo. Creare e mantenere un contesto battagliero, all’interno di un’isola felice e con pochi eguali in Italia in termini di stabilità come il BFC di Saputo, è compito non semplice ma fondamentale: bisogna far capire allo spogliatoio che la bava alla bocca e il fuoco negli occhi ci vogliono sempre, non solo in condizioni di difficoltà, quando suona l’allarme. Queste sono cose che, appunto, non si comprano sul mercato, e credo siano più importanti di un nuovo centravanti.
Pepè Anaclerio
© Riproduzione Riservata
Foto: Imago Images