Quaranta giorni fa, a margine degli Italian Sport Awards, il direttore sportivo orobico Gabriele Zamagna aveva dichiarato, fra le altre cose, che l’Atalanta «è una società venditrice», senza fare eccezioni per Josip Ilicic: «Se arriveranno offerte che la proprietà riterrà all’altezza, saremo liberi di parlare e di trattare con chiunque».
Il fantasista sloveno, ieri sera a Valencia, è entrato nell’esclusivo e ristrettissimo pantheon di giocatori capaci di segnare quattro gol in una singola partita di Champions League, impresa che nell’era moderna del torneo è riuscita a campioni quali Lionel Messi (che nel 2012 ha raggiunto addirittura quota cinque), Cristiano Ronaldo, Zlatan Ibrahimovic e Robert Lewandowski. Ciononostante, Ilicic non verrà mai dichiarato incedibile: il prezzo del suo cartellino lieviterà, questo è facilmente prevedibile, ma se in estate dovesse pervenire una proposta congrua verrebbe sacrificato in nome del modello Atalanta. Esatto, perché quella che da tante piazze è stato additata per anni come l’impalcatura ideale su cui costruire calcio di alto livello prevede sì grande dedizione nel curare le ‘piante’, ma anche che non appena i ‘frutti’ diventano succulenti si corra immediatamente ad esporli sul banco migliore del mercato.
Stando al modello nerazzurro, il Bologna non avrebbe dovuto ripetutamente chiudere le porte in faccia alla Juventus per Orsolini, non avrebbe dovuto spillargli alla maglietta un cartellino con una cifra a sette zeri, né tantomeno chiosare che «comunque non è in vendita». La differenza fra i due approcci non risiede nei nove anni di differenza anagrafica tra i due giocatori presi in considerazione, perché stagione dopo stagione la Dea si è privata di talenti come Caldara, Conti, Cristante, Kessie, Kulusevski e il nostro Barrow. Si tratta di due concezioni d’impresa che oggi, dopo una fase di stabilizzazione rossoblù che ha visto anche qualche sacrificio (Diawara e Verdi su tutti), sembrano quasi agli antipodi, in particolare per via delle differenti possibilità economiche dei due patron.
I bergamaschi continueranno a godersi le scommesse spesso azzeccate dei loro scout e i talentini coltivati in casa, attendendo poi che gli emissari di un’altra società si affaccino a Zingonia con qualche sacchetto pieno di monete d’oro. Di contro i tifosi felsinei, oltre ad ammirare un settore giovanile in continua crescita, potranno bearsi dell’Orsolini di turno senza più temere (salvo offerte realmente da capogiro) che al termine del campionato il ragazzo salga sul primo treno in direzione Torino, Milano, Roma o Napoli.
Non male, questo modello Bologna.
Fabio Cassanelli
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