«La partita era già finita e abbiamo lasciato un’altra volta la possibilità a Nasca e al VAR di combinarne una delle loro. Mi sorprende Doveri, non Nasca». Che un allenatore italiano, nella fattispecie Thiago Motta, rischi la squalifica o la multa per una frase del genere ha dell’incredibile. Ma siamo in Italia, il paese più garantista nei confronti della classe arbitrale, per la quale è stato emesso (forse a nostra insaputa) il dogma dell’infallibilità.
Si capisce bene perché l’AIA continui a difendere il principio del no comment arbitrale dopo le gare: se parlassero, gli arbitri dovrebbero rispondere dei loro errori. Ma un sistema che permette gol a tempo abbondantemente scaduto come a Lecce e che nega gol e rigori come quelli negati al Bologna in questo campionato, prima o poi dovrà dire qualcosa. E se non dice nulla, allora sia lecito ad un tecnico pacato come Motta di esprimere la sua opinione.
Il Bologna merita rispetto, così come qualsiasi altra squadra. Ma oltre al BFC lo merita il calcio, uno sport vilipeso e ridotto a puro esercizio tecnocratico dall’introduzione del VAR, che al margine d’errore umano ha aggiunto la discrezionalità della tecnologia (la uso o non la uso?) e sta diventando sempre meno credibile. Persino quando il VAR funziona, certificando reti e penalty svariati minuti dopo che sono accaduti, il calcio perde qualcosa in termini di verità. Figurarsi quando gli errori sono sotto gli occhi di tutti.
Luca Baccolini
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