Quello che ancora non si è letto nella vicenda Motta-Arnautovic (riassunto per i distratti: il Bologna funziona meglio e segna di più senza l’austriaco, un tempo perno dell’attacco) è che per la prima volta da parecchi anni le sorti della squadra non dipendono più da un singolo, nemmeno dal suo vice designato (semplicemente: non esiste), ma dalla forza del gruppo. Quante volte abbiamo tremato all’idea che Signori si stirasse, che Di Vaio zoppicasse, che Gilardino si prendesse un raffreddore… Ebbene, oggi le angustie di Arnautovic non sono più un problema del tifoso rossoblù. Che diventino invece un ‘problema’ per Thiago Motta, capace di realizzare 29 punti in 19 partite a prescindere dalle condizioni di salute del suo uomo più titolato (e pagato), è qualcosa di paradossale.
Arnautovic viaggia per i 34 anni: ben che vada, potrà reggere ancora un paio di stagioni ad alto livello, dove ‘alto livello’ significa però 14 reti, il massimo raggiunto dall’attaccante in un solo campionato. Marco Di Vaio, per gli smemorati, arrivò a farne 24 (con un rigore regalato a Bernacci che grida ancora vendetta). Motta, invece, ha un contratto fino al 2024 e nelle prossime settimane discuterà il rinnovo, immaginiamo fino al 2026. Chi sia più importante in questo momento storico tra Arnautovic e Motta, ammesso che la questione vada posta in questi termini, lo sta dicendo il campo, non il sottoscritto.
Sarebbe però un grave errore, appunto, mettere in contrapposizione due figure che, insieme, devono formare un corpo unico per il bene della squadra. Arnautovic deve molto a Bologna perché è la città che gli ha consentito di affermarsi in un campionato, la Serie A, in cui aveva fatto capolino tredici anni fa come promessa inespressa. E Bologna deve molto ad Arnautovic per aver deciso di non impuntarsi alla prima sirena di calciomercato, decidendo di restare qua (sappiamo bene quanto poco tempo impieghino i calciatori a fare le valigie quando decidono che è ora di farle).
La storia recente ci racconta che gli allenatori rossoblù che sono andati contro i propri giocatori di riferimento ne sono quasi sempre usciti con le ossa rotte: capitò a Ulivieri con Baggio, a Guidolin che tolse Signori dal campo e ricevette gli improperi di mezzo stadio, per certi versi anche a Donadoni con Destro. Si rischia di replicare ora con Motta, che giustamente sceglie di premiare nelle rotazioni chi ha saputo fare il surrogato di ‘Arna’ nel momento più delicato della stagione. Ma occhio ad insistere: come l’assenza di Marko è servita a trovare risorse mentali e fisiche inaspettate, adesso la sua ritrovata presenza potrebbe aiutare a fornire il propellente verso l’Europa o le sue zone più prossime. Le stagioni sono lunghe, vivono di cicli interni che nascono e si esauriscono. Forse è finito il ciclo in cui si poteva fare a meno di Arnautovic e sta arrivando quello in cui i suoi gol possono tornare utili: nessuno giochi al braccio di ferro.
Luca Baccolini
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