Non è più tempo di polemiche e dispetti, l’industria calcio va riavviata. L’Italia sta cadendo in un imbuto pericolosissimo
Non è una mia dote l’essere pacato nei toni se qualcosa mi infastidisce davvero, per questo risulto spesso antipatico o un mio pensiero scatena reazioni e commenti altrettanto forti. Partendo dal presupposto che continuo a nutrire parecchie perplessità sull’intera faccenda COVID-19, senza negarne l’esistenza ma condannando l’asfissiante – e spesso poco competente – martellamento mediatico a cui siamo stati sottoposti, e con il massimo rispetto per coloro che sono venuti a mancare, credo che anche per il calcio sia arrivato il momento di avere coraggio e ripartire, come ogni altra attività.
A tal proposito, ieri pomeriggio ho ascoltato le dichiarazioni rilasciate a SportMediaset da Davide Santon, terzino della Roma: «Il campionato deve essere portato a termine, noi giocatori siamo controllati 24 ore su 24. Il pallone può donare gioia e divertimento, giocare significherebbe tanto per molte persone: anche senza tifosi, il calcio è sempre il calcio». Inutile rimarcare quanto uno stadio festoso, colorato e pagante (sì, perché pure il botteghino ha il suo peso, seppur minore rispetto a quello delle TV) rappresenti uno spettacolo splendido e impareggiabile; tuttavia, nell’attesa di tempi migliori, il semplice fatto di tornare ad emozionarsi per novanta minuti potrebbe giovare al nostro spirito, almeno per riprendere confidenza con quanto ci hanno portato via in questi tre mesi di standby dalla normalità.
In Italia, invece, non si fa nulla per andare dritti in questa direzione, anzi. Basti pensare alle mille opinioni cambiate dal presidente dell’AIC Damiano Tommasi, che quando parla dei calciatori sembra si riferisca a dei koala che vanno preservati dall’estinzione, o al prode ministro Vincenzo Spadafora, che pare divertirsi a tenere in scacco uno sport che poco gradisce e conosce. Nel mezzo la FIGC, che non vuole litigare con nessuno e per questo si muove a piccoli passi, e la Lega Serie A, che deve far convivere le personalità più disparate nel nome di una linea comune, aspettando il fatidico via libera. In generale: poco buonsenso, un sacco di polemiche, una buona dose di burocrazia mista a virologia e una manciata di dispettini e dispettucci, tanto per farsi sempre riconoscere in Europa e nel mondo.
Personalmente lo ripeterò fino allo sfinimento: il nostro calcio deve ripartire, stringendo i denti ancora per un po’ sul piano economico e sopportando la mancata presenza dei tifosi, ma ridando lavoro a più di 200.000 persone. Perché lo abbiamo già sottolineato, non c’è da salvaguardare il singolo campione ma tutto ciò che gli gira attorno. A riguardo, trovo assai centrate le parole di Marcello Lippi, che su Radio Deejay si è espresso senza peli sulla lingua: «Il presente che stiamo vivendo è vomitevole, mi fa incazzare. E sul calcio c’è una demagogia impressionante: può piacere o meno, ma quello professionistico è un’industria e va trattata come tale». L’Italia sta precipitando in un imbuto pericolosissimo, l’attesa non paga.
Mario Sacchi
© Riproduzione Riservata
Foto: Damiano Fiorentini