L’ultimo calciatore a giocare con una certa continuità di tempo nel Bologna è stato Ibrahima Mbaye. E prima di lui Archimede Morleo. Ad insidiare i loro sette anni di permanenza rossoblù c’è il solo Angelo Da Costa. Non ce ne abbiano i diretti interessati appena citati, ma cosa sta accadendo al concetto di ‘bandiera’? Perché il rimanere a lungo nel BFC non coincide più con l’essere un simbolo della squadra? La domanda non è oziosa pensando alla carriera di Riccardo Orsolini, il cui probabile rinnovo di contratto fa immaginare qualche altro anno sotto le Due Torri. Ne ha già accumulati cinque, da quando arrivò a Casteldebole nel gennaio 2018, diventando un anno e mezzo dopo il più oneroso investimento dell’epoca Saputo, sorpassato in seguito solo da Musa Barrow, che con 19 milioni al lordo dei bonus staccò ‘Orso’ di una buona cinquina.
Una rincorsa lenta, la sua: scampoli di gara, l’esplosione, la convocazione in Nazionale e poi una nuova involuzione, nel quadro di un rapporto molto particolare con Sinisa Mihajlovic, allenatore che non perdeva mai occasione per castigare pubblicamente il suo pupillo. La parabola di Orsolini, infatti, è stata un saliscendi senza picchi verso il basso ma senza nemmeno apoteosi. Eppure da lui ci si aspetta sempre tanto. Ora, ad un’età ancor giovane ma non più da enfant prodige, si proietta neo ventiseienne ad un bivio di carriera cruciale: restando a Bologna, si prende la responsabilità di veterano del gruppo, lui che qui arrivò ventunenne digiuno di gol nel massimo campionato per mettersi in coda a Simone Verdi e diventarne poi il sostituto naturale.
In Serie A sono pochissimi i giocatori che rimangono con gli stessi colori addosso non per uno stato d’inerzia, ma perché ne sono ormai diventati parte integrante. È il caso di Domenico Berardi del Sassuolo, ventottenne, ben undici anni in neroverde. ‘Orso’ ha tutte le carte in regola per essere come lui e ridare un nuovo significato alla parola ‘bandiera’ nel BFC: viene dalla provincia, ha fatto la gavetta, non è un predestinato (qui i predestinati hanno quasi sempre fallito, almeno negli ultimi decenni), sa stare in gruppo, non ‘primadonneggia’ mai. Nel suo ruolo di esterno d’attacco, proprio col numero 7 sulle spalle, ha poi un illustre predecessore, quel Carlo Nervo che dal Mantova scese in C col Bologna di Renzo Ulivieri restandoci quasi tredici stagioni. Calcio d’altri tempi, si dirà. Ma Nervo quando torna a Bologna è una persona felice. È quello che auguriamo anche a Orsolini.
Luca Baccolini
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