Per la crescita, il morale e qualche milione in più: Bologna, meglio noni che dodicesimi
Abituati come siamo a smobilitazioni anticipate, il finale di stagione rischia sempre di apparire come una dolorosa ma necessaria via crucis per arrivare, esangui e con scarse motivazioni, alla trentottesima stazione. È stato così (quasi) sempre: se persino i campioni d’Italia rossoblù si fecero tirare addosso gli abbonamenti dai propri tifosi nel 1965, si capisce bene come i crolli di fine stagione siano potuti accadere anche in tempi assai meno gloriosi.
L’obiettivo di quest’anno, a detta di Mihajlovic, è sempre stato quello di migliorare la classifica del campionato precedente, che per coincidenza è stato anche quello con più punti dell’era Saputo (47). Chiudere a 48 significa però vincere tre partite su quattro, un’impresa che nel 2020/21 è accaduta solo tra la sesta e la nona giornata, e appena due volte nella stagione precedente. Ripeterla ora, con la squadra appesantita dagli infortuni e da un fisiologico rilassamento, è oggettivamente fuori portata, sebbene non impossibile. E poi, diciamoci la verità: a nessuno interessa realmente il conteggio finale, a meno che non ci sia ancora in ballo la salvezza. Tutti, probabilmente, firmerebbero per perdere malamente le prossime tre e vincere l’ultima contro la Juventus, a ventitré anni di distanza dalle prodezze di Paramatti, Signori e Fontolan.
Fare punti, però, è sempre più consigliabile: il decimo e il nono posto fruttano qualcosa di più di un mesto dodicesimo piazzamento (un paio di milioni di euro, forse anche tre) in termini di diritti televisivi. Se la cifra può sembrare esigua, ricordiamoci che l’estate scorsa Bani fu ceduto per far cassa a ‘soli’ 2,5 milioni di euro. Dunque anche gli spiccioli contano. Conta però soprattutto non tradire una piazza che il COVID e la sua malaccorta gestione sanitaria hanno relegato in pianta stabile fuori dagli stadi, compromettendo ancor di più l’affezione verso questo sport. Avvicinarsi all’inizio dei lavori per il nuovo Dall’Ara con una prospettiva di crescita legittimata anche dai numeri (sul piano del gioco, grazie a Sinisa, è già avvenuta) creerebbe un presupposto, un clima e un’inerzia indubbiamente favorevoli.
L’esatto contrario di quello che avvenne con Roberto Donadoni, il quale credendo che a Bologna bastasse salvarsi, non concepiva la possibilità di essere criticato per aver centrato l’obiettivo minimo. Il punto, però, è che obiettivo minimo e massimo non sono mai realmente coincisi nella percezione del tifoso rossoblù, ancora abituato a considerare la retrocessione come un fatto tragico/accidentale della vita, anche se è accaduto già sei volte negli ultimi quarant’anni. Sarà che l’animo umano tende a dimenticare i lutti, sta di fatto che noi siamo ancora quelli che si presentavano a Marsiglia per tentare l’approdo in finale di Coppa UEFA. Regoliamoci di conseguenza.
Luca Baccolini
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