Uno come Carlo Mazzone non tornerà più, perché il calcio di Mazzone non tornerà più. Con la sua scomparsa non muore solo un grande ex allenatore italiano, ma un pezzo importante di noi: noi che siamo cresciuti seguendo uno sport aperto all’imprevisto, al pronostico sbagliato, all’errore umano, alle telecronache riconoscibili per stili e linguaggi diversi, che arricchivano il nostro immaginario anziché depauperarlo (e spesso involgarirlo). Dire Mazzone era già un’operazione nostalgia quando era in vita, nel suo esilio beato da nonno felice, dirlo oggi è un’operazione malinconia, ora che il nipote Alessio non potrà più aggiornare i suoi profili social.
Allenò il Bologna in tre momenti ben diversi fra loro. In B nel 1985/86, con Gino Corioni presidente, pochi anni dopo la prima caduta dei rossoblù nelle serie inferiori: c’erano Marocchino, Marronaro, Pradella e Zinetti. Poi in A nel 1998/99, raccogliendo una squadra in salute ma orfana di Roberto Baggio. Mazzone condusse il Bologna in una delle sue stagioni più avvincenti e lunghe, durata 316 giorni e distribuita su cinque diverse competizioni. Sessanta partite, un’enormità: in pratica, una ogni cinque giorni. Tutto cominciò il 18 luglio 1998 con l’Intertoto, torneo cui il BFC ebbe accesso dal terzo turno; poi la Coppa Italia (tenuta viva fino alle semifinali), il campionato, la Coppa UEFA con la cavalcata fino alla semifinale contro il Marsiglia e in coda il doppio spareggio vinto con l’Inter (di Baggio) per l’accesso alla Coppa UEFA successiva. Infine, nel 2003, dopo le dimissioni lampo di Francesco Guidolin, aprì un biennio con parecchi dispiaceri, terminato con la notte disastrosa dello spareggio salvezza vinto dal Parma. ‘Sor Carletto’, che in oltre 1.200 panchine non aveva mai conosciuto l’onta della retrocessione, uscì dal Dall’Ara senza parlare. Nessuno però gli contestò la responsabilità di quel tonfo: di Calciopoli avremmo saputo dopo.
Il suo calcio non esiste più: «La tattica è l’arma dei poveri», diceva. Eppure fu proprio il re della tattica, Pep Guardiola, a regalargli la gioia più grande: nel maggio 2009 l’allora tecnico del Barcellona fece arrivare un biglietto al suo ex mister: «Ti aspetto all’Olimpico per la finale di Champions». E davanti a lui la sollevò per la prima volta da allenatore. Fortunati i maestri che si fanno ricordare dagli allievi.
Luca Baccolini
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