Profilo basso e serietà: così Fenucci a Bologna sta superando ogni record
Ormai vicino a tagliare il traguardo degli otto anni alla guida del Bologna, a Claudio Fenucci ne mancano due per superare il decennio tondo di Renato Cipollini (in sella dal 1995 al 2005, anche nel ruolo di presidente vicario) e diventare così il dirigente di più lungo corso a Casteldebole nell’ultimo mezzo secolo, periodo storico in cui è ancora possibile certificare con sicurezza la ‘militanza’ dei dirigenti rossoblù (giacché all’epoca di Dall’Ara, e prima ancora, tali figure non erano inquadrate come avviene oggi).
Nella storia del Bologna Fenucci è il primo caso di amministratore delegato con pieni poteri, ruolo tanto più evidente quanto più occasionale si è fatta la presenza di Joey Saputo sotto le Due Torri. Laureato con lode in Economia e Commercio alla Sapienza di Roma, Fenucci, 62 anni il prossimo 19 novembre, aveva cominciato la sua carriera nel 1985 come remisier nella Capitale (remisier è chi raccoglie ordini di borsa e li trasmette all’agente di cambio per l’esecuzione). Da lì, in meno di dieci anni, è stato nominato membro del Comitato di Gestione alla Banca del Salento, anticamera del suo ingresso nel mondo del calcio come amministratore delegato del Lecce della famiglia Semeraro. Assieme alla successiva esperienza romanista, insomma, Fenucci ha attraversato un quarto di secolo nel mondo del pallone, senza mai cambiare stile, fedele ad un basso profilo che di anno in anno contrasta sempre di più con l’isterico registro comunicativo assunto dal calcio nostrano e dai suoi commentatori.
Del suo privato si sa pochissimo: sul curriculum, alla voce ‘interessi’, si legge di una prevedibile passione per il calcio ma anche per il tennis e il golf, oltre che per la lettura di saggi storici. Pochi sanno che per sei anni Fenucci è stato anche professore universitario all’Università di Lecce presso la Facoltà di Economia (tenendo un corso di Economia degli intermediari finanziari), ruolo che aveva già ricoperto dal 1996 come docente esterno sempre alla Sapienza di Roma.
Il vizio dello spettatore sportivo, si sa, è quello di proiettare le sue aspirazioni sui volti dei protagonisti della propria squadra. Fenucci è stato miracolosamente capace di sottrarsi a questo meccanismo, pur restando saldamente ancorato alla quotidianità di Casteldebole. Certo, non sono mancate isolate contestazioni (il famoso striscione «via i romani da Bologna»), ma tutto sommato in questi otto anni è prevalsa l’accettazione di un ruolo relativamente nuovo che, in assenza del proprietario del club, rappresenta ormai il fulcro della vita rossoblù. Mai, del resto, si era visto in questi lidi un a.d. con tali poteri.
Il lavoro ‘sotterraneo’ di Fenucci è emerso soprattutto in questi giorni con l’annuncio, da parte del Comune di Bologna, del doppio progetto Dall’Ara-stadio provvisorio, che difficilmente avrebbe visto la luce senza un manager unico alla guida (e certo, senza la disponibilità del patron a mettere sul piatto più di 100 milioni di euro). Quando il sindaco Lepore si sbilancia a dire che «è più facile fidarsi di Saputo che del prossimo Governo» sottintende una lode al lavoro di Fenucci, il vero anello di garanzia tra la proprietà e il territorio. Troppo spesso, infatti, si valutano le prestazioni del calcio guardando solo il numeretto finale della classifica, ignorando tutto il lavoro macro e micro finanziario che si annida nel dietro le quinte, i rapporti con gli sponsor e le istituzioni, la credibilità che bisogna rinsaldare giorno dopo giorno, in un ambiente di avventurieri com’è diventato questo sport, di cui Fenucci è un rispettato ambasciatore d’altri tempi. Del resto, non si resta in sella otto anni consecutivi a dispetto di quel che pensa il proprietario.
Mario Sacchi
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