La facilità con cui negli ultimi anni si elargiscono cittadinanze onorarie (fenomeno che non riguarda solo Bologna) potrebbe ridimensionare un po’ quella appena conferita a Joey Saputo. Ma non è così. Nella storia del club rossoblù i presidenti tributati in vita sono stati pochissimi. E pochissimi, parimenti, sono quelli che hanno potuto raggiungere ‘indenni’ i dieci anni di mandato.
Oltretutto, Saputo si è conquistato il riconoscimento senza aver ancora realizzato l’opera principale del suo programma, ovvero la ristrutturazione dello stadio, grazie alla quale il Comune conta di poter risolvere – o perlomeno attutire lo storico impatto negativo del Dall’Ara sul quadrante di città che va da porta Saragozza fino alla Barca. Un premio per gli enormi investimenti fatti per la squadra (e indirettamente per la città) ma anche un’apertura di credito per il futuro: questo, in sintesi, il senso implicito del riconoscimento, meritatissimo.
Pochi colleghi presidenti, sotto le Due Torri, possono dire di aver ricevuto un trattamento del genere in vita. Renato Dall’Ara dovette passare dalle forche caudine della rifondazione del club nel 1945 e dalle contestazioni degli anni Cinquanta prima di rimettersi in pace coi tifosi, mentre con il sindaco ‘rosso’ Giuseppe Dozza i rapporti non furono mai idilliaci. Solo nel 1984, vent’anni dopo la sua morte, arrivò il meritato tributo con l’intitolazione dello stadio Comunale (ex Littoriale).
Decisamente peggio andò a Louis Rauch, odontoiatra svizzero che il 3 ottobre 1909 firmò il regolamento del primo sodalizio rossoblù, diventandone – da calciatore – il primo presidente. Nel 1952, mentre conduceva placidamente la sua bicicletta dalle parti di Ozzano, fu investito da un camion e morì. Il giorno seguente, sul Resto del Carlino, l’incidente fu riportato come una semplice notiziola di provincia, con più risalto per il guidatore (un sottotenente di vascello della Marina) che alla vittima.
Nell’oblio finì pure Emilio Arnstein, il secondo presidente, che durante la stagione delle leggi razziali conobbe da vicino la tragedia delle deportazioni nei campi di sterminio, dove cinque suoi familiari trovarono la morte.
Complicati furono anche i rapporti di Rodolfo Minelli col regime fascista, che di fatto lo ostracizzò dalla vita pubblica. Eppure era stato lui a trasferire il Bologna allo Sterlino, il primo vero stadio della storia del club, realizzando un salto di qualità enorme nella maturazione di una squadra che fino a quel momento non era mai stata dotata né di un campo regolare né di uno spogliatoio.
E che dire, in tempi moderni, di Luciano Conti? Contestato per aver ceduto Beppe Savoldi, ma all’atto pratico ultimo presidente ad aver alzato un trofeo (la Coppa Italia del 1974).
Analogo destino a quello toccato a Giuseppe Gazzoni Frascara, che dopo aver rilevato un BFC moribondo lo condusse in meno di sei anni a disputare ben due semifinali di Coppa Italia e una di Coppa UEFA. Eppure anche il suo nome, per lungo tempo, è stato vilipeso, deriso e storpiato, fino alla tardiva ammissione di colpa della curva.
Saputo, insomma, può ben essere soddisfatto. Se si guarda indietro, troverà quasi solo irriconoscenza. A lui, invece, la città ha spalancato le porte come mai era capitato fino ad oggi.
Luca Baccolini
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Foto: Damiano Fiorentini