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Ritratto di Vincenzo Italiano attraverso la sua tesi di Coverciano: ecco il calcio del “tutti registi”

Ritratto di Vincenzo Italiano attraverso la sua tesi di Coverciano: ecco il calcio del "tutti registi"

Ph. Getty Images

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Il Bologna ha sempre giocato un ruolo non indifferente nel destino di Vincenzo Italiano, tedesco di nascita (nel 1977 i genitori festeggiavano il Natale coi nonni emigrati a Karlsruhe) ma siciliano di formazione e cultura (Ribera, il suo paese d’origine, è quello che ha visto nascere anche il ministro Francesco Crispi). Al Dall’Ara Italiano ha conosciuto per la prima volta la Serie A da calciatore, contro l’allora BFC di Renzo Ulivieri, suo futuro mentore al corso di Coverciano; da allenatore, invece, ha lasciato la panchina dello Spezia a quel Thiago Motta che poi gli ha restituito il favore pochi giorni fa, liberando quella rossoblù, un giro di valzer durato tre anni durante i quali i due tecnici si sono consacrati assieme a Raffaele Palladino come la generazione più interessante del nostro calcio.
Di sicuro il nuovo tecnico del Bologna è un lottatore nato: a 13 anni venne scartato ad un provino col Torino. «Fisicamente inadatto», gli dissero. Ma non si arrese. Tornato nella sua Ribera, a 17 anni venne selezionato da Roberto Boninsegna per la Nazionale giovanile di Serie C. E qui attirò l’interesse di Rino Foschi, che lo portò a Verona, la squadra e la città (sia Hellas sia Chievo) a cui Vincenzo s’è più legato e dove ha trovato anche la compagna di vita, nonché madre dei suoi due figli, uno dei quali già avviato al calcio nelle Under viola.
Cagni, Prandelli e Malesani lo hanno inventato come playmaker puro alla Pirlo. Ma una volta diventato allenatore, come ha scritto nella sua tesi del 2020 incentrata sul passaggio di mentalità dal campo alla panchina, Italiano è divenuto il teorico del «tutti registi». Ogni calciatore, insomma, deve contribuire alla costruzione del gioco, indipendentemente dal ruolo, provando a «guadagnare metri di campo quando possibile, ‘provocando’ l’avversario in quelle zone di campo dove ti si concede superiorità numerica o ampi spazi». Le sue squadre hanno giocato quasi sempre col 4-3-3 o col 4-2-3-1, sfruttando al massimo gli esterni, con marcature a uomo aggressive, mentre di conseguenza il centravanti funge più da regista offensivo venendo incontro al pallone, come ha spiegato anche giovedì nella conferenza stampa di presentazione. Zirkzee, o chiunque eventualmente lo sostituirà, è avvisato.
Il suo Spezia ha raggiunto la salvezza fermando spesso squadre di vertice (vittorie con Milan e Napoli, pareggi con Atalanta e Inter), ma nella sua carriera di allenatore Italiano può vantare anche un record singolare: è stato il primo tecnico capace di trionfare in tutti i playoff delle tre categorie nazionali (per di più consecutivamente), ossia in Serie D con l’Arzignano, in C col Trapani e in B proprio con lo Spezia. La Fiorentina l’ha congedato coi massimi onori nonostante tre finali perse (una  di Coppa Italia e due di Conference): «Si è interrotto il rapporto professionale, non quello umano» ha detto il direttore sportivo Daniele Pradè. Non esattamente ciò che è successo tra Thiago e il BFC, dove l’interruzione del rapporto professionale ha fatto repentinamente deflagrare pure quello umano.
Nell’introduzione alla sua tesi di 82 pagine, disponibile sul sito della FIGC, Italiano sembra aver già scritto quello che lo attende a Bologna, una piazza in cui ripetere l’impresa di Motta sarà molto complicato: «Creare nuovi adattamenti, capire i segnali che la squadra manda direttamente o indirettamente, gestire le esigenze del club», in pratica innestarsi nella pesante eredità di una qualificazione in Champions League, torneo che non ha mai affrontato in carriera. Fanno ben sperare le sue parole da ‘laureando’ di Coverciano: «Dover fischiare la fine dell’allenamento, tornare a casa ed iniziare a pensare al giorno dopo, interagire coi calciatori, provare a essere uno psicologo, capire quando poter e dovere intervenire se c’è da correggere qualcosa o risolvere una situazione, talvolta sbagliare e imparare. Tutti elementi mossi da una passione, da una ragione di vita, che non sono mai scemate e che alimentano ancora oggi il bambino che c’è in ognuno di noi, che si emoziona ogni giorno, come se fosse il primo, alla vista di un rettangolo verde. Faccio il mestiere più bello del mondo, e non ne avverto il peso».

Luca Baccolini

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Foto: Getty Images (via OneFootball)