Parafrasando il titolo della celebre opera di Luigi Pirandello, l’approdo di Thiago Motta a Bologna ha permesso di scoprire o rivitalizzare vari calciatori, ma purtroppo non tutti. Nicola Sansone ed Emanuel Vignato, per motivi diversi, non sono infatti riusciti a convincere il tecnico italo-brasiliano, e la loro permanenza sotto le Due Torri appare sempre più in discussione.
Sansone si è rivelato un fattore impattante e decisivo nell’unica stagione in cui il Bologna dell’era Saputo ha seriamente rischiato di retrocedere in Serie B, ovvero quella 2018/19: annata in cui si resero necessari l’avvicendamento in panchina Inzaghi-Mihajlovic e diversi investimenti nel mercato invernale, tra i quali proprio il suo acquisto dal Villarreal. E non si può certo dire che in quei mesi finali, oltre che in buona parte della stagione 2019/20, non si sia rivelato utile alla causa.
Con i se e con i ma la storia non si fa, ma la possibile sliding door della sua avventura bolognese è rappresentata dall’acquisto di Musa Barrow nel mese di gennaio 2020: il gambiano, arrivato in rossoblù come potenziale erede di Rodrigo Palacio, si impose invece come piacevole scoperta utilizzato largo a sinistra, e fu proprio il calciatore cresciuto nel Bayern Monaco a farne le spese in termini di impiego e conseguentemente di fiducia.
L’ingaggio del numero 10, parametrato ad un utilizzo sempre minore e ad un rendimento non sempre all’altezza di quanto percepito, risulta certamente elevato, ma non vanno dimenticate le dinamiche e l’arco temporale in cui si sviluppò l’accordo: Nicola lasciò il Villarreal, una delle formazioni ai vertici in Liga e impegnata in Europa League, per approdare in una realtà a forte rischio B. Lo fece mantenendo tutto sommato quanto percepito in Spagna ma accordandosi, in caso di salvezza dei felsinei, per un riscatto obbligatorio e un contratto duraturo, cioè quello in essere fino al 2023: prendere o lasciare, e in quel momento il BFC aveva l’assoluto bisogno di mantenere la categoria, evitando risvolti negativi sul campo e il conseguente dissesto economico-finanziario che provoca una retrocessione.
L’enfant prodige Emanuel Vignato, concretamente approdato dal Chievo al Bologna nell’estate del 2020 dopo essere stato acquistato nell’inverno dello stesso anno, ha vissuto di fugaci giornate positive: i tre assist serviti a Palacio contro la Fiorentina due stagioni fa e la splendida palla scodellata per Orsolini contro il Torino, ad esempio, hanno fatto ben sperare, ma all’atto pratico si sono rivelate effimere speranze fini a se stesse.
Stoffa e talento non mancano, ma da soli non bastano per emergere ed essere protagonisti: probabilmente la sua ascesa è stata ostacolata da una struttura fisica forse non idonea al calcio di oggi, basti vedere quanta fatica faccia Brahim Diaz ad imporsi nel Milan, e da una collocazione tecnico-tattica difficile da trovare, quest’ultima resa certamente ancor più complicata da un Bologna che per un anno ha scelto di passare al 3-5-2 e ad una tipologia di gioco che ne ha accentuato ancor di più criticità e difficoltà.
Se l’addio nel breve non sembra essere in discussione, lo è invece una decisione più complessa legata al suo futuro a medio-lungo termine, alla luce di un contratto in scadenza nel 2024 che impone una scelta a stretto giro di posta: dare ulteriore fiducia al ragazzo, tramite rinnovo e annessa cessione in prestito per ritrovare costanza d’impiego, o monetizzare nel caso spuntassero all’orizzonte estimatori disposti a credere in lui ma col rischio di mangiarsi le mani? Dopo aver aperto con Pirandello, chiudiamo con Manzoni: ai posteri l’ardua sentenza.
Riccardo Rimondi
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