Motta e Mourinho, dalle rispettive posizioni, si giocano un bel pezzo di campionato. Forse stavolta non si telefoneranno, come fanno spesso due grandi personalità che un tempo, prima di essere colleghi, si potevano considerare allievo e maestro: difficile che una chiamata tra di loro possa partire oggi, alla vigilia di una sfida che può gettare Bologna e Roma fuori dal perimetro dei propri obiettivi. Ma anche se i ruoli attuali impongono distanza e rapporti formali, quello tra Thiago e Mou resta un legame di ferro.
I loro cellulari hanno registrato lunghe conversazioni, non per forza di natura tattica, ma anche su questioni legate ad aspetti comunicativi, materia in cui il portoghese è un vero professore mentre l’italo-brasiliano dà ancora l’impressione, soprattutto quando affronta i cronisti, di stare sempre sul chi va là, così caratterialmente diverso da Mou, che è sempre capace di indirizzare le domande, di spostare il focus e, spesso, anche di individuare un capro espiatorio esterno per alleggerire la pressione sul gruppo. Quel che è certo è che la stima tra i due è reciproca.
Non tutti lo sanno, ma Motta e Mourinho non si sono conosciuti all’Inter, bensì al Barcellona. Bisogna infatti tornare agli ultimi anni del secolo scorso, quando José studiava da vice allenatore in Catalogna, prima al servizio di Bobby Robson e poi di Louis van Gaal. In quello staff c’era anche André Villas-Boas, un altro che avrebbe presto fatto carriera in autonomia, diventando il più giovane allenatore a vincere una coppa europea. Fu lì, al Camp Nou, che Mou conobbe Thiago, il quale nel 1999 non aveva ancora l’età per guidare e giocava nel Barcellona B con un certo Carles Puyol.
Un giorno Mourinho guidò un allenamento della Primavera e si accorse subito di Motta, un regista naturale di centrocampo, essenziale, quasi spartano nelle giocate, abile sia nella fase difensiva che nel gioco d’attacco, con una forza fisica mai disgiunta dalla razionalità, non veloce ma dotato di ottimi inserimenti. In più, grazie al suo metro e 87, svettava sempre nel gioco di testa. José lasciò il Barcellona nel 2000 per allenare da solo, prima al Benfica, poi al Porto (dove vinse tutto: campionato, UEFA e Champions) e poi al Chelsea di Abramovich. Thiago, nel frattempo, finì il suo apprendistato e nel 2001 entrò in Prima Squadra con Rivaldo, Xavi e Luis Enrique (Messi, parcheggiato ancora nella Masia, sarebbe arrivato solo nel 2004).
I due destini si ricongiunsero grazie all’Italia: nel 2008, reduce da un brutto infortunio al ginocchio, Motta firmò col Genoa per rilanciarsi; Mourinho, nel frattempo, aveva accettato la proposta dell’Inter di Moratti. L’anno seguente, vinto lo scudetto ma non la Champions, il tecnico cercò di rafforzare la squadra in chiave europea: via Ibra e dentro Eto’o, e dal Genoa arrivarono Milito e Motta. Parecchi tifosi erano scettici, Mou aveva già visto tutto. E fece Triplete. Peccato che proprio contro il Barcellona, in semifinale, Thiago si fece espellere, saltando così finale e festeggiamenti sul campo.
Da allora, era il 2010, il rapporto tra i due è sempre rimasto solidissimo. Negli unici tre precedenti da allenatori rivali (Spezia e Bologna contro Roma) ha sempre vinto José. Stavolta, però, l’epilogo è molto meno scontato, così come il loro futuro: di Motta si era già cominciato a parlare come del possibile nuovo mister del Paris Saint-Germain. Guarda caso, lo stesso club che avrebbe poi battezzato in pectore Mourinho, con Thiago che stando a certe voci sarebbe pronto a sostituirlo a Roma. Destini incrociati, sempre.
Luca Baccolini
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