Tra favola e realtà
Arriva l’Atalanta, e siccome da qualche tempo non c’è più il Chievo, si rinnova la straccia litania delle belle favole che sono sempre altrove, mai qui. «Loro sì che hanno un progetto», «eh già, tutto merito del vivaio». Intanto bisognerebbe timidamente ricordare che, negli ultimi 25 anni, loro (quelli della favola) sono retrocessi cinque volte, e che ad eccezione degli anni di Gasperini (con un quarto, un settimo e un terzo posto in Serie A) il piazzamento medio è sempre stato tra il quattordicesimo e il quindicesimo posto. Un risultato né favoloso né favolistico.
Ma al di là delle classifiche, che contano sempre il giusto, si dimentica una differenza fondamentale tra noi e loro: qui a Bologna avremmo sette scudetti, che pesano parecchio sul vincolo morale di presidenti e allenatori che hanno la ventura di gestire questa cattedrale un po’ decadente; a Bergamo, invece, a parte una Coppa Italia nel 1963 e una semifinale di Coppa delle Coppe, non ci sono altri esempi da ricalcare. Come a dire: è sempre più facile costruire un’epopea splendente su un terreno brullo, con una piazza che non chiede necessariamente qualcosa; più dura, invece, è riagganciarsi ad una storia di grandi vittorie, ripeterle e tenere il passo imposto dagli avi.
Questo non significa che Gasperini abbia fatto qualcosa di ordinario, anzi. Ma il problema è tutto nostro e del nostro modo di guardare a queste imprese. A Bergamo una presidenza che ha garantito continuità di gestione sta raccogliendo i frutti della vicinanza territoriale tra città e proprietà, dell’oculatezza negli investimenti e del buon senso nelle scelte tecniche. A Bologna, in cinque anni di gestione in modalità telelavoro, si sono alternati quattro direttori sportivi (di cui due ancora in carica) e cinque allenatori, mentre continuiamo a pagare 2 milioni di euro netti il principale acquisto del secondo di questi quattro diesse. Sono queste differenze a fare le favole. Degli altri, ovviamente.
Luca Baccolini
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