Niente partite, niente stadio, niente grida di gioia o disperazione. È malinconicamente tutto fermo, quasi abbandonato, come mai era successo in tempo di pace. Lo stadio, sfogatoio per eccellenza, tace da settimane. Le TV nei weekend languono, o restano sintonizzate su quelle che fino a ieri erano alternative di serie Z rispetto alla compagnia del calcio.
«È poco più che un’influenza»… Sarà, peccato che quando siamo schienati dall’influenza, nel fine settimana, senza poter uscire di casa nemmeno per prendere una boccata d’aria, l’unica consolazione è potersi spiaggiare sul divano con una coperta calda e il Bologna sullo schermo. Oggi invece non abbiamo nulla, né il Bologna né la boccata d’aria. I nostri idoli li vediamo a distanza di sicurezza, nella loro paradossale intimità casalinga esposta all’occhio dei social.
Grazie ad una manciata di selfie o a video di qualche secondo li ritroviamo apparentemente invincibili come li abbiamo sempre creduti, ma stiamo scoprendo il loro lato più umano: anche loro sono sigillati in casa con le loro famiglie, anche loro hanno paura, anche loro ingannano il tempo come possono. Sono cadute le barriere, oggi siamo davvero tutti nello stesso calderone e scopriamo che non ci piace. O meglio, quasi tutti.
Sì, perché c’è chi di lavoro non scrive articoli né pratica sport, ma fa il possibile per salvare la vita agli altri. Loro proprio non si possono fermare, la nostalgia della quotidianità la avvertono più di chiunque altro o meglio la avvertirebbero, se gli restasse del tempo per pensare. In un’epoca sempre più schiava di etichette e slogan, schivano l’hashtag #iorestoacasa per assicurare agli altri la possibilità di farlo. A noi, per una volta, non resta che essere una massa compatta, adattarci a quello che ci viene chiesto e farci forza. Tornerà il momento in cui stare a casa sarà solo un’opzione, il volume della TV ci ricorderà lo stadio e lo stadio ci ricorderà che se siamo stati tutti uguali una volta, forse possiamo continuare ad esserlo… Fino alla fine.
Fabio Cassanelli
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