Negli ultimi anni il Bologna si era fatto un certo nome per grandi acquisti in extremis, da Di Vaio a Gilardino, passando per Diego Perez. Questo mercato sembra aver invertito la tendenza, creando un allarmante fuggi fuggi alle ultime battute (nessuno si sarebbe potuto immaginare la partenza del regista e del centravanti titolari a meno di una settimana dall’inizio della Serie A). C’è tempo per rimediare, e siamo sicuri che accadrà. Ma un calciomercato così inteso (non parliamo solo del BFC, ma dell’intero movimento) non farà che allontanare ancor di più il pubblico da questo sport. Che senso ha un ritiro di preparazione al campionato se la squadra del raduno non è neppure lontanamente la brutta copia di quella che scenderà in campo nei match ufficiali? Che senso ha tenere vive le trattative per sessanta giorni (ma con giugno sono novanta) se la maggior parte di esse si conclude nell’ultima settimana?
La richiesta di accorciare drasticamente la finestra di calciomercato non è nuova, ma viene invocata da molto tempo dai più qualificati direttori sportivi. Il fatto che nessuno si sia mai posto seriamente il problema (solo nel 2018 si decise di chiuderlo a metà agosto) dimostra ancora una volta come questo sport, a livello mondiale, subisca l’influenza decisiva – per non dire egemone – degli agenti e dei procuratori, gli unici veramente interessati affinché le trattative durino il più a lungo possibile. Stringendo il campo su Arnautovic, stupisce che il giocatore, sempre corretto in campo e coi compagni, abbia aspettato che iniziasse la stagione per manifestare definitivamente la sua intenzione di andarsene, costringendo così il Bologna (la società che lo ha rilanciato in Italia dopo l’autoesilio cinese) a trovare in fretta e furia un sostituto. Dovesse davvero partire, come ormai sembra, qualcosa ci dice che quantomeno sul piano umano non ne sentiremo la mancanza.
Luca Baccolini
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