Una stagione particolare che non va analizzata con le stesse lenti del passato
Sei sconfitte in dodici partite hanno segato le gabbie che rinchiudevano i cattivi pensieri. Forti dei numeri (che sono lì, incontestabili), i ministri del ‘velavevamodetto’ (sottinteso: che senza Mihajlovic sarebbe stata dura) possono finalmente perorare le loro tesi con l’avallo di una classifica modesta, non molto migliore ‒ per posizione e per punteggio ‒ rispetto a quella di Inzaghi una stagione fa (12 punti oggi, 10 l’anno scorso).
Chi sottolinea l’assenza del mister proprio adesso dovrebbe però trovare una seconda razione di coraggio per arrivare al corollario del ragionamento: lo esoneriamo? Se criticare il Bologna di oggi serve a sottintendere o almeno far subodorare questa tesi, bisogna allora avere il coraggio di sviscerarla per intero. Non a metà. Chi scrive, invece, propone la tesi opposta: i rossoblù devono finire la stagione con Mihajlovic qualsiasi cosa succeda. Arriveremo ultimi? Non importa. Perderemo tutte le partite da qui alla fine? Pazienza. Abbiamo un presidente che ha coperto perdite per 105 milioni di euro in cinque anni: resisterà anche a questo imprevisto.
A metà luglio questa società ha fatto una scelta precisa. Di cuore, ma anche di cervello. Ha capito che la battaglia di Sinisa, uomo e allenatore di cui tutti a Casteldebole si fidano ciecamente, poteva rappresentare un’occasione unica per riformare una comunità. E così sta succedendo. Non c’è mai stata tanta condivisione di intenti tra campo e spalti, tra giocatori e tifosi, tra Bologna e la proprietà. Mettere in discussione Mihajlovic e il suo staff significa calpestare tutto questo. Analizzare questo campionato con le stesse lenti con cui si giudicavano Inzaghi, Donadoni e Delio Rossi è fuorviante, arido, inutile. E chi lo fa non è una cassandra. È solo molto miope.
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Foto: Damiano Fiorentini