Super League, la secessione dei ricchi: boicottiamola!
Prima o poi doveva succedere. Era nell’aria da tempo e le smentite erano sempre più ipocrite. Il tempismo, però, in certe operazioni è tutto, e per la nascita della Super League è talmente improvvido da rischiare di mandarla già al tappeto prima di nascere.
Nella notte che precede il congresso UEFA che annuncerà l’allargamento della Champions League, con più partite e più soldi, 12 club europei (Juventus, Milan, Inter – che in Italia litigano su tutto –, Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Arsenal, Chelsea e Tottenham) decidono che non basta e lanciano «la secessione dei ricchi» (Gianfranco Viesti dixit). Una lega privata europea che, abolendo il merito sul campo nei singoli campionati, faccia partecipare solo l’élite del calcio europeo e dunque mondiale.
Per qualsiasi consulente di marketing è il prodotto giusto, quello che si vende meglio: tutte partite con stadi pieni e diritti TV dorati. Ma per fortuna il mondo è fatto anche di altre cose, oltre ai soldi. E il gioiellino creato da Florentino Perez parte già sfiatato.
Primo. Dal punto di vista geopolitico c’è subito una voragine: Germania (Bayern Monaco e Borussia Dortmund) e Francia (PSG), i Paesi nemici storici ma locomotive d’Europa, hanno detto no, anche se in molti credono a ripensamenti.
Secondo. La UEFA ha già annunciato le contromisure: le società che aderiscono o aderiranno saranno fuori dalle competizioni internazionali e dunque i loro giocatori (tutti i migliori al mondo: Ronaldo, Messi, Neymar, Mbappé, Salah, De Bruyne, Ibrahimovic, Rashford ecc.) non potranno disputare Europei e Mondiali.
Terzo (e per me più importante). La rivolta immediata di tifosi e opinionisti di tutto il mondo. A partire da Gary Neville, leggenda del Manchester United e oggi commentatore di Sky Sport in Inghilterra, che ha parlato di «atto criminale» e «tradimento dei tifosi», mentre sui social si è scatenato un tam-tam che parla già di boicottaggio della competizione.
La ‘guerra del calcio’, per molti di noi bolognesi, è un déjà vu. All’inizio degli anni Duemila successe la stessa cosa nel basket con la nascita dell’Eurolega: soci fondatori che avevano il posto garantito a prescindere dal piazzamento nei propri campionati nazionali.
Lo schema circa è lo stesso, le differenze tante. Innanzitutto nel calcio la Champions League è già la competizione più ambita, e rottamarla non sarà una passeggiata. In più, sotto canestro il processo fu preparato e gestito con passaggi intermedi e la guerra con FIBA (che pure ci fu, ricordiamo ad esempio gli arbitri temporaneamente radiati perché scelsero di fischiare in quel torneo) si è risolta nel tempo in un compromesso. Non è impossibile che accada anche nel calcio: più soldi ai club storici della Champions.
Il punto, comunque, è un altro. L’accelerazione della Super League è dovuta tutta alla crisi da pandemia. Mentre milioni di persone perdono il lavoro e il salario, è assolutamente ingiusto che i club di calcio decidano di diventare ‘élite sovversive’ per acquisire più denaro.
Mettendo da parte la figura da cioccolataio che sta facendo Andrea Agnelli, presidente dell’associazione delle squadre europee (ECA) che aderisce alla Super League proprio quando la Juventus rischia di essere esclusa dalla prossima Champions sul campo, la rivolta dei supporter sta nel fatto che, se il progetto partisse, le favole come quelle di Verona, Sampdoria e Leicester non esisterebbero più. Nel nostro piccolo, anche il Bologna che sfiorò la finale di Coppa UEFA.
Ecco perché sono sicuro che i tifosi – rossoblù in testa – riusciranno a piegare questo progetto, boicottandolo fin dal principio. Senza tifosi il calcio non esiste, nemmeno quello dei ricchi.
Massimo Franchi
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