Della Nazionale più gerontocratica al mondo, il Cile, Gary Medel è ancora un senatore indiscusso. La seconda esclusione consecutiva dai Mondiali (analogo destino toccato all’Italia) potrebbe farlo desistere, ma non sarà facile. «Finché non arriverà qualcuno più bravo di me, continuerò a giocare», ha detto il diretto interessato subito dopo la cocente delusione. Anche nel 2020, del resto, il difensore/centrocampista aveva dato l’addio alla Roja, salvo poi tornare subito sui suoi passi. Difficile, del resto, lasciare una selezione di cui è tutt’oggi il secondo giocatore più presente (dopo Sanchez), con due Copa América in bacheca e un sacco di soddisfazioni private nella stanza dei ricordi (compresa una rissa con Messi, costata l’espulsione ad entrambi). Difficile quanto lasciare il Bologna dopo esserne diventato la colonna portante. In estate aveva già le valigie pronte, ora nessuno si sognerebbe di levarlo dagli undici titolari.
Dare platealmente l’addio e poi riaprire la porta e tornare indietro, come in una telenovela sudamericana. Forse è questo il sale che insaporisce i grandi rapporti. A 35 anni non si possono fare progetti: il futuro (sportivo) è sempre un regalo del cielo. Ma a Gary Alexis Medel Soto nulla è arrivato gratis. Lo sa bene chi, come lui, è cresciuto nel barrio di Cerro San Cristóbal, una delle zone più povere del Cile, con un tasso di mortalità infantile ancora molto alto. La sua famosa frase «se non avessi fatto il calciatore sarei diventato un narcotrafficante o uno spacciatore», più che un’uscita folkloristica è oggettivamente il principale pronostico per molti di quei ragazzi di periferia.
Chissà che la vista panoramica della Collina di San Cristóbal, con i suoi 860 metri di altezza, non abbia contribuito ad alzare la posta della sua vocazione. Per i turisti di passaggio da Santiago del Cile è un modo come un altro per scorgere le cime delle Ande senza abbandonare il Parque Metropolitano, il più grande parco urbano della capitale cilena (e, dicono lì, dell’intera America Latina), dove i governi democratici seguiti alla caduta di Augusto Pinochet nel 1990 hanno dato sfogo ai più vari progetti di arredamento pubblico, con spazi verdi abbelliti, interventi di architettura del paesaggio, piscine, uno zoo e aree attrezzate con giochi per bambini.
Quasi certo che il giovane Gary sia salito sulla funicolare che lungo ripidi binari porta da Plaza Caupolicán alla Terraza Bellavista, un belvedere sulla Collina di San Cristóbal. Verso il tramonto, l’oscurità che avvolge la città mentre viene accesa l’illuminazione pubblica è uno spettacolo impagabile, almeno quanto la statua bianca alta 22 metri che raffigura la Vergine Maria, una risposta cilena al Cristo Redentore di Rio de Janeiro. Sotto quella statua Giovanni Paolo II disse messa nell’aprile 1987, nel contestato viaggio apostolico con annessa stretta di mano al sanguinario Pinochet. Quattro mesi dopo, Medel vedeva la luce.
È probabile che i primi calci al pallone li abbia dati quando ancora il dittatore era attaccato tenacemente al potere. In ogni caso, nel 1990 anche Pinochet dovette lasciare un trono tenuto saldamente per 26 anni. Per fortuna di Medel, il calcio è stato strumento di educazione prima e di redenzione poi. A salvarlo dai sogni fatui di una carriera senza obiettivi è stata l’Universidad Católica, che insieme al Colo-Colo e all’Universidad de Chile è una delle tre grandi squadre del calcio cileno. Medel ci ha giocato dai 12 anni in poi, facendo tutta la trafila delle giovanili fino alla chiamata in Prima Squadra e al debutto in Copa Libertadores. Qui si distinse subito per lo stile di gioco tutto fisico e agonismo, a copertura di doti tecniche non eccezionali. Il futuro ‘Pitbull’ veniva utilizzato come mediano di rottura o incontrista, ma all’occorrenza era schierato anche come difensore centrale, ruolo che ora lo sta consegnando ad una seconda vita calcistica.
Gli inciampi biografici (multe per eccesso di velocità e guida in stato di ebbrezza, liti e persino il giallo di una ragazza caduta dal balcone di un appartamento in cui si stava consumando una festa) hanno punteggiato la sua carriera senza danneggiarla, a dispetto di suo padre, che temeva costantemente il malocchio sul figlio prodigio. Ma uno che ai tempi del barrio si vide puntare addosso tre pistole contemporaneamente non dovrebbe aver paura neanche dello jettatore di Pirandello.
Luca Baccolini
© Riproduzione Riservata
Foto copertina: Getty Images