Ricca, multietnica, poliglotta e legata ai trionfi rossoblù: la Vienna di Arnautovic
Forse ci facciamo caso meno del dovuto, ma il nostro 1° gennaio comincia sempre con Vienna e il suo concerto di Capodanno, l’unico evento culturale europeo trasmesso e seguito in tutto il mondo da più di un miliardo di persone. Vienna è la città di Marko Arnautovic, ma è stata soprattutto la capitale del mondo prima di New York e di Parigi, una delle poche ad aver dettato uno stile di vita in cui possiamo rispecchiarci ancora oggi: ritmi lenti, cortesia, lettura dei giornali al caffè, lunghe passeggiate e il teatro, punta dell’iceberg di quelle inquietudini e di quegli abissi che hanno avuto il loro contrappeso nell’arte di Schiele, Kokoschka e Wotruba, nelle parole di Hugo von Hoffmansthal e nelle indagini sull’inconscio di Freud.
All’apice della sua stagione politica, Vienna era anche la capitale di un impero che si estendeva su quasi 700.000 chilometri quadrati (il secondo Paese europeo dopo l’Impero russo), con 52 milioni di abitanti che parlavano almeno quattordici lingue principali, dall’italiano fino al romeno. Sui resti di quell’Impero oggi insistono i territori di tredici Stati diversi, il nostro compreso. Arnautovic è pronipote di quel sobbollente magma storico-sociale riunito sotto Francesco Giuseppe ed esploso in conseguenza del tracollo nella Prima guerra mondiale. La radice del suo nome (Arnaut-) potrebbe facilmente essere ricondotta all’etnonimo che i turchi usavano per indicare gli albanesi cristiani (Arnavid, Arnavud, in turco moderno Arnavut) che entravano al loro servizio, soprattutto nei ranghi militari. Gli Arnavudlai erano famosi fin dall’epoca di Carlo d’Angiò (XIII secolo) come soldati bellicosissimi, pronti a difendere fino alla morte i territori d’Epiro, della Tessaglia, dell’Attica e dell’Acarnania. Qualcosa di quei geni dev’essere rimasto, altrimenti non si spiega come il viennese Arnautovic entri in partita con quel piglio da lottatore… L’incontro-scontro tra Albania e mondo ottomano è testimoniato anche da una cucina incredibilmente sincretica: tra le centinaia di piatti condivisi, ci sono pure gli Arnavut ciğeri, pezzi di fegato fritto serviti con cipolle, prezzemolo e peperoncino, un’altra traccia della famosa radice Arnaut- che ora occupa il numero 9 della maglia rossoblù.
I rapporti Austria-Bologna fanno riemergere la parte più antica e gloriosa della nostra storia, quella iniziata con lo scudetto vinto nel 1925 indossando, negli ultimi tre spareggi del campionato di Lega Nord contro il Genoa, un’iconica maglia verde che si rifaceva al grande Rapid Vienna. Viennese doc era Hermann Felsner, il tecnico più longevo e vincente dei 112 anni di vita del BFC. Cecoslovacco, quindi cittadino dell’Austria-Ungheria, era Emilio Arnstein, co-fondatore del club, nonché artefice della prima partita del Bologna giocata all’estero: accadde a Trieste, che nel 1910 era ancora il porto dell’Impero asburgico. Austriaco in senso lato, anche se ungherese di nascita, era Gyula Lelovich, nato nel 1897, primo allenatore a far vincere una coppa europea ai felsinei (la Coppa dell’Europa Centrale del 1932) e poi, cosa non da poco, scopritore del talento di un giovanissimo Giacomo Bulgarelli. Dopo la Seconda guerra mondiale le quotazioni dell’Austria cominciarono a calare vistosamente e con esse i legami con Bologna. In tempi recenti sono transitati l’austro-ungherese Gyorgy Garics (che come i bravi poliglotti dell’ex Impero parla correttamente cinque lingue) e l’austro-macedone Dejan Stojanovic, famoso suo malgrado per aver esordito in rossoblù subendo sei gol dalla Lazio.
Ma in realtà il legame più commovente intrecciato tra Bologna e Austria (nel segno del pallone) si è avuto nell’amicizia a distanza tra Matthias Sindelar e Angelo Schiavio, probabilmente i due più forti calciatori della loro epoca. Sindelar (1903-1939) era soprannominato ‘il Mozart del pallone’, il centrattacco più temuto del Wunderteam tra la seconda metà degli anni Venti e gli anni Trenta, proclamato miglior giocatore austriaco del XX secolo dall’International Federation of Football History and Statistics (IFFHS). La sua morte, avvenuta nel suo appartamento viennese il 23 gennaio 1939, venne attribuita ad un avvelenamento da monossido di carbonio. Nessuno seppe mai se per cause accidentali o volontarie. Il suo corpo fu rinvenuto assieme a quello della fidanzata, la milanese Camilla Castagnola.
Otto mesi prima del decesso, Sindelar era stato protagonista della vittoria dell’Austria sulla Germania, e fu l’unico calciatore assieme a Karl Sesta a non allinearsi al saluto nazista al cospetto delle alte cariche del regime. Nel 1925 giocò allo Sterlino di Bologna e in quell’occasione ebbe modo di conoscere Schiavio, diventandone subito amico. I due si rividero altre due volte al Prater di Vienna, consolidando un sodalizio basato soprattutto sulla reciproca ammirazione, come uomini e come atleti. «Era cresciuto senza scarpe, soffrendo la fame. Era il migliore, e non c’era un perché», questo fu il laconico e addolorato commento di ‘Anzlein’ quando seppe della scomparsa di Sindelar, ancora oggi avvolta nel mistero.
Luca Baccolini
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Foto copertina: bolognafc.it