Primi scampoli dell’anno che verrà, tra conferme, addii più o meno amari e speranze che la nuova stagione sposti l’asticella in po’ più in alto, a partire dal raggiungimento della soglia minima di quei 50 punti (che poi a conti fatti dovrebbero essere 60, ma facciamo un passo alla volta) che iniziano a profumare d’Europa. Rimane poi sempre in ballo la questione stadio, altro trampolino di lancio verso lidi più assolati e meno distanti dal calcio d’élite. Esagerato parlare di rivoluzioni in corso, ma per lo meno si confida in quella crescita attesa dall’arrivo di Joey Saputo.
Poco più di cent’anni fa si facevano i medesimi ragionamenti. Era il 1919 e, venuti fuori dalla Prima guerra mondiale, si poteva riprendere a pensare a qualcosa di più leggero come il calcio. Dov’era rimasto il Bologna? Poco prima della guerra, nel 1913, si era trasferito allo Stadio Sterlino, prendendo in affitto un pezzo di terra in pendenza in via Toscana e costruendo un campo con tanto di tribuna. Sei anni dopo, di quel campo rimaneva giusto la forma, la tribuna era crollata e allo stesso modo c’era una squadra da rimettere in piedi. Bisognava tutto e il nuovo progetto BFC ripartì dal neoeletto presidente Cesare Medica, imprenditore nel campo del caffè (ma con interessi anche nel ramo alberghiero, in quello della ristorazione e persino nel mondo dello spettacolo, come testimonia il cinema di via Montegrappa che porta ancora il suo nome) che appena arrivato pensò bene di rilevare quel terreno e rimetterlo in sesto.
I lavori durarono circa un anno, ma il nuovo stadio di proprietà del Bologna rappresentava un gioiellino d’ingegneria per l’epoca, con una tribuna in cemento dotata di terrazza pensile, la prima in Italia. Se ne aggiungerà poi una seconda poco più tardi, per aumentare i posti a sedere e quindi i ricavi. Rimesso a nuovo la casa, ora andava ripopolata. Anche qui il club usò la creatività, e per cercare il suo primo storico allenatore, mise un annuncio sui giornali, che apparvero anche oltre confine. E infatti alla chiamata rispose, tra gli altri, un coach austriaco che sembrava avere tutti i requisiti per ricoprire l’incarico, Hermann Felsner. A chiudere l’affare fu inviato Arrigo Gradi, fondatore e ormai caposaldo della società: la trasferta si chiuse con soddisfazione da entrambe le parti.
La stagione 1920/21 iniziava dunque con un nuovo condottiero e una squadra già rinvigorita dall’annata precedente, in cui spiccava il talento di Giuseppe Della Valle (in formazione col nome di Della Valle III perché ultimo tesserato di tre fratelli, il primo dei quali, Guido, era scomparso durante la guerra), che diverrà uno dei grandi bomber di quel BFC degli albori. Al termine di quel campionato, chiuso al primo posto nel proprio girone e concluso con una sconfitta nella finale settentrionale contro la Pro Vercelli, il Bologna salutò il suo restauratore Medica, che dovette ritornare alle sue occupazioni principali. La macchina era però già stata messa in moto, e il rombo del motore faceva presagire la volata di cui sarebbe stato capace.
Ma si sa, le rivoluzioni non si fanno certo in un giorno. Prima di vedere i frutti di quella semina, i felsinei dovranno attendere ancora quattro anni. Un periodo che servì a perfezionare lo stile di gioco e a puntellare una formazione già valida con l’innesto fondamentale di Angelo Schiavio, che debuttò in rossoblù nel 1922. Due stagioni dopo, ecco finalmente il primo tricolore cucito sul petto.
Sembrava un percorso in piano quello intrapreso dalla società, invece era solo l’inizio di una nuova rivoluzione, che vedrà ancora un trasloco nel nuovo Stadio Littoriale, oggi Renato Dall’Ara. Sarà forse questa la chiave di volta che porterà il Bologna a nuovi successi?
Giuseppe Mugnano
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Foto copertina: Collezione Lamberto e Luca Bertozzi