Dieci anni sono un tempo infinito per chi è abituato a vivere d’adrenalina, misurando la vita novanta minuti alla volta, ed è capace di prendere in un solo attimo la decisione giusta per ribaltare le sorti di una partita. Dieci anni è durato il silenzio di Beppe Signori, che usa le pagine del suo nuovo libro Fuorigioco. Perde solo chi si arrende per dare sfogo a tutte le emozioni difficili da esprimere a voce, ma soprattutto per riavvolgere il nastro della sua storia. La vicenda è assai nota: nel 2011 Signori viene accusato non solo di avere un ruolo importante all’interno della macchina del calcioscommesse, ma di essere addirittura uno dei punti di riferimento di un’organizzazione criminale internazionale.
«In quel momento avevo l’identikit adatto, perfettamente calzante con ciò di cui mi accusavano – afferma Beppe durante la presentazione del libro in Salaborsa a Bologna –, perché non ero tesserato per nessuna squadra, ero un personaggio noto e mi piaceva scommettere». È il 1° giugno 2011 quando viene arrestato e posto agli arresti domiciliari nella sua casa messa a soqquadro dagli inquirenti, che ritengono di aver trovato quel che cercavano: un foglietto, ribattezzato ‘il papello di Signori’, recante un presunto accordo per una scommessa che venne sì proposta a Signori durante un incontro coi famigerati Bellavista ed Erodiani nello studio dei suoi commercialisti, ma mai effettuata da Beppe. Fu però abbastanza, seppur in assenza di elementi che dimostrassero il suo effettivo coinvolgimento nel calcioscommesse, per condannarlo e radiarlo dal mondo del calcio.
In quel periodo aveva da poco conseguito il patentino da allenatore a Coverciano ed era pronto a intraprendere una nuova avventura. Da un giorno all’altro si trovò invece sbattuto sulle prime pagine dei giornali, colpevole senza diritto d’appello: «Quando sentivo o leggevo – scrive nel suo libro – di quelli che, appena arrestati, si proclamavano innocenti, ero il primo a non credere affatto alla loro estraneità: se li avevano arrestati, qualcosa dovevano per forza aver fatto. E capisco che questo è proprio ciò che penserà la gente di me, non importa quanto forte io possa urlare la mia innocenza».
A questo punto il racconto della vicenda giudiziaria (di cui Signori ci tiene a fornire i minimi dettagli, dalle accuse fino alle udienze che hanno portato al suo proscioglimento con formula piena e in seguito alla grazia da parte della FIGC) comincia ad intrecciarsi alla sua carriera da calciatore, a partire dal trampolino di lancio con quel ‘Foggia dei miracoli’ che dopo una storica promozione non smise di sorprendere nella massima serie, trascinato sul campo dal ‘Tridente delle meraviglie’ Signori-Baiano-Rambaudi e guidato in panchina dal boemo Zdenek Zeman. «Ho avuto tanti allenatori e un maestro di calcio – spiega Signori –. Zeman mi ha cambiato la carriera, prima di arrivare lì ero un trequartista che amava fare gli assist e segnava pochi gol. Quando mi vide arrivare in ritiro mi salutò con un “Ciao bomber” e poco dopo, sfruttando l’infortunio di un compagno, mi spostò in avanti: da lì iniziò la mia carriera da attaccante».
La magica annata 1991/92 valse ai pugliesi il nono posto in classifica e per Beppegol la chiamata della Lazio. «Lì scopro una nuova dimensione – prosegue nel racconto –, dove c’è il presidente Cragnotti che vuole investire e portare la squadra ai vertici del campionato. Io mi trasferivo da una città di provincia alla Capitale: quando arrivai mi sentivo un po’ perso, ero stato acquistato per sostituire un idolo come Ruben Sosa. “Cercherò di far meglio”, dissi alla conferenza stampa di presentazione. E per fortuna ci riuscii».
Al primo anno tra i biancocelesti segnò 26 gol, vincendo la classifica cannonieri della Serie A (ma anche della Coppa Italia, con 6 reti, impresa riuscita a pochi eletti come Meazza, Maradona, Riva e Boninsegna), e nel campionato seguente bissò il primato per poi imbarcarsi per i Mondiali di USA ’94.
A guidare la Nazionale italiana era Arrigo Sacchi, rigoroso nei suoi schemi di gioco al tal punto da sacrificare i suoi interpreti: «Sacchi non credeva che io potessi giocare in coppia con Roberto (Baggio, ndr), e la sconfitta all’esordio rafforzò la sua convinzione. Così decise di spostarmi laterale di centrocampo con compiti difensivi, un doppio lavoro al quale non ero abituato. Avevo appena vinto la classifica cannonieri, non mi andava giù di dover correre dietro gli avversari. Quando prima della finale dissi a Sacchi che avrei giocato solo come attaccante, persi la possibilità di partire titolare. Fu un grave errore, col senno di poi giocherei anche in porta».
Dopo cinque anni di idillio, con oltre cento gol e la fascia di capitano, le cose alla Lazio precipitarono con l’arrivo in panchina di Sven Goran Eriksson, che sempre più spesso lo esclude dalla formazione iniziale. Nella partita di Coppa UEFA con l’Austria Vienna «mi fece scaldare 45 minuti per poi far entrare un centrocampista – racconta –. Persi le staffe in spogliatoio e tornato a Roma comunicai a Cragnotti che non sarei rimasto alla Lazio in quella situazione». Così nel mercato invernale venne ceduto in prestito alla Sampdoria, dove visse mesi opachi, complici anche i problemi alla schiena che lo costrinsero ad operarsi per un’ernia al disco.
Poi, nell’estate 1998, la chiamata del Bologna, che lo riportò ad una seconda giovinezza. «Qui ho ritrovato lo spirito di Foggia: lo spogliatoio era come una famiglia, Carlo Mazzone un grande motivatore che ci dava la consapevolezza di cui avevamo bisogno. Quando comparì la prima volta in spogliatoio disse: “Io parlo solo con Signori, quindi se avete qualcosa da dì parlate con lui”. Fu un’investitura, nonché una grande iniezione di fiducia per me». Inutile ricordare come andò quella stagione, perché nonostante le amarezze nel finale i tifosi rossoblù ce l’hanno tatuata sul cuore, così come le annate seguenti.
Mentre alle sue spalle scorrono le immagini degli 84 gol in rossoblù, Signori si alza per ringraziare il pubblico, composto per lo più di tifosi, rimastogli fedele dopo dieci anni di accuse e illazioni, e annuncia la sua prossima sfida: «Adesso il mio desiderio è ritrovare la serenità di un tempo e soprattutto sentire di nuovo l’odore dell’erba. Sono pronto per ricominciare, a qualsiasi livello. Sarei felice di poter insegnare calcio ai più piccoli, quindi spero di rivedervi presto su un campo di calcio».
Te l’auguriamo anche noi Beppe, bentornato.
Giuseppe Mugnano
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Foto copertina: Giuseppe Mugnano (zerocinquantuno.it)