I mille volti dell’osteria ‘La Cesoia’
Nel 1962 in via Pancaldi, fuori porta San Vitale, fu commesso un crimine efferato contro la storia della nostra città, causa – inutile dirlo – il dio denaro e una malsana idea di progresso: la storica osteria La Cesoia, una delle più antiche di Bologna (risalente, stando alle fonti, al XVII secolo) fu demolita per far spazio ad una nuova costruzione. Quello che all’epoca venne considerato un rudere – e per questo volgarmente denominato Palazzazz – aveva rappresentato per oltre quattro secoli uno dei principali luoghi di ristoro per mercanti e viandanti in entrata e uscita dalla città turrita, e voci di quartiere dicono fosse anche un luogo di ritrovo per loschi figuri.
La Bologna del Seicento, al sicuro entro le sue mura, a quel tempo aveva lungo l’allora strada San Vitale pochi punti di riferimento, ma importanti: da una parte l’Ospedale Sant’Orsola, baluardo degli infermi, dall’altra, per l’appunto, l’osteria. In quegli anni, con l’arrivo della peste in città, venne costruita a metà tra uno e l’altro, una cappella per celebrare il culto mariano, che prese il nome di Madonna della Cesoia e lì vi rimase fino al 1818, quando fu spostata nella vicina chiesa di Sant’Antonio di Savena (in via Massarenti, dove si trova tutt’oggi).
La vicinanza con un luogo di culto contribuì sicuramente ad accrescere la fama dell’osteria, senza dimenticare però che La Cesoia a partire dal XIX secolo non si limitò ad ospitare i suoi avventori ma, sfruttando il largo cortile che dava sulla strada, diventò sede di mercati e piccoli eventi cittadini. Come dimostrano infatti alcune fonti d’archivio (quello Comunale, che custodisce molte altre pietre miliari della storia di Bologna), già alla fine dell’Ottocento alla Cesoia si teneva il mercato dell’uva: un evento di grande portata, al punto tale da richiedere un servizio d’ordine e un avviso pubblico da parte dell’amministrazione comunale per regolamentare il transito e il deposito delle merci. Ed è così che l’osteria tenne alto il suo nome in città.
Va ricordato che si trattava di un edificio di grandi dimensioni, con un buon numero di camere a disposizione e quindi capace di alloggiare decine di persone. Non fu quindi un caso se il presidente del neonato Bologna Football Club, Domenico Gori (uomo facoltoso e di grandi vedute), dopo aver acquistato un terreno in zona per costruire il primo campo ufficiale per la squadra, che si apprestava a esordire nel campionato di Prima Categoria, chiese in affitto ai proprietari della locanda due stanze da adibire a spogliatoi. Il rettangolo di gioco prese dunque il nome di Campo della Cesoia, dove i rossoblù disputarono i primi tre campionati della loro gloriosa storia, dal 1911 al 1913, prima di trasferirsi al più attrezzato Stadio Sterlino, in via Toscana.
Rimane un pezzo di storia indelebile del calcio bolognese la prima partita alla Cesoia del 26 febbraio 1911, contro il Venezia, vinta per 3-0 grazie alla doppietta di un giovane spagnolo che di professione faceva lo studente, peraltro in Erasmus, presso il Collegio di Spagna. Non certo un ragazzo come tanti altri, leggendo il suo nome sul tabellino: Antonio Bernabeu. Già, proprio come quel Santiago Bernabeu che qualche decennio darà il nome allo stadio del Real Madrid, di cui lui era il fratello maggiore.
L’osteria assunse così in quel biennio di inizio Novecento la doppia funzione di spogliatoio e ‘sbollenta-animi’: difatti, alla fine di ogni partita, in particolar modo di quelle più accese, la Cesoia ospitava i suoi beniamini assieme agli avversari di turno per un ‘terzo tempo’ che nel calcio di oggi si farebbe fatica ad immaginare.
Abbandonata la parentesi calcistica, la trattoria bolognese resistette saldamente alle due guerre e venne presa in gestione, alla fine degli anni Quaranta, dalla famiglia ravennate Andraghetti, che cercava a pochi passi dalle due Torri il suo posto al sole. Ne nacque una moderna trattoria, così come la intendiamo oggi, tutta calore e tradizione. Un idillio che purtroppo si spezzò a fine anni Cinquanta, quando l’edificio fu condannato all’abbattimento per costruirvi un palazzo. Per gli Andraghetti non significava soltanto lasciare il locale, ma anche cambiare casa, dal momento che abitavano nelle camere al piano terra. La loro vita si muoveva tutta lì, tra le mura della Cesoia, di cui loro furono gli ultimi abitanti.
Si salvò solo il nome, dal momento che l’attività condotta da Astorre Andraghetti (e dopo di lui della famiglia Montanari) si spostò nell’edificio antistante, dando vita al ristorante La Cesoia, paradiso di rigatoni e tagliatelle per medici, avvocati e perfino artisti del quartiere. A dimostrazione che la storia non si può cancellare con un colpo di spugna.
Giuseppe Mugnano
© Riproduzione Riservata
Foto: percorsodellamemoriarossoblu.it