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I Regaz dei Fava, una comunità nata intorno ad un campo da basket

I Regaz dei Fava, una comunità nata intorno ad un campo da basket

Ph. Regaz dei Fava

Tempo di Lettura: 4 minuti

Se si stilasse una classifica delle città italiane con più campi da basket per chilometro quadrato, o semplicemente per quartiere, Bologna sarebbe di certo prima per distacco. Non è solo per la presenza di Virtus e Fortitudo che la chiamano Basket City, ma anche e soprattutto per una cultura sportiva improntata su questa disciplina. Nei parchi della città è più facile vedere i ragazzi tenere una palla tra le mani che tra i piedi, ci si dà appuntamento per fare due tiri a canestro al solito campetto. Ognuno di essi rappresenta un punto di riferimento per la comunità, un perno intorno al quale creare socialità. Va da sé, quindi, che ciascuno abbia sua storia, ma difficilmente si sente parlare di regole: di solito chi prima arriva gioca, e i ritardatari aspettano il proprio turno.

Invece al campo da basket dei Giardini Fava, a due passi dalla stazione nel Quartiere Porto-Saragozza, le cose funzionano in modo diverso. Qui gravitano un’ottantina di ragazzi, tra vecchi frequentatori e nuovi arrivati, di diversa età e provenienza: se arrivano a giocare in questo campo, quasi automaticamente entrano a far parte dei Regaz dei Fava: «Qui c’è sempre stata un’identità precisa – racconta Anthony, uno dei Regaz – ma la cosa che mi ha colpito quando sono arrivato per la prima volta tre anni fa è stata l’accoglienza. In ogni campo non è mai facile inserirsi, c’è sempre diffidenza all’inizio, bisogna farsi largo. Qui no, e per capirlo basta osservare quello che succede alla fine di ogni partita: tutti si mettono in fila per il tiro libero e chi segna acquisisce il diritto a giocare la partita seguente, anche se appena arrivato o in ciabatte. Certo, si fa anche da altre parti, ma per noi è diventata una regola, una filosofia di vita».

Fino ad una decina di anni fa il campo era frequentato per metà dagli studenti universitari, mentre dall’altra parte si ritrovavano i ragazzi filippini, una componente demografica presente al tal punto da creare un proprio slang oggi usato da tutti al campetto. Negli ultimi anni i due gruppi si sono fusi, formando un blocco unico che si è dato delle proprie regole e consuetudini. Molti giovani passano qui pomeriggi interi anche senza giocare, semplicemente per parlare e raccontarsi storie, chiedere un consiglio ed evitare di mettersi nei guai. I Giardini Fava rappresentano quindi un luogo di integrazione per coloro che arrivano dall’estero e cercano un posto dove sentirsi a casa.

Così, tre anni fa, ha preso corpo l’idea di costituirsi in associazione per avere la possibilità di tutelare uno spazio importante per molti e riqualificarlo. «L’idea di creare l’associazione – spiega Anthony, uno dei suoi soci fondatori – è nata in seguito alla morte di Kobe Bryant. Naturalmente, essendo un idolo per tanti di noi, abbiamo preso l’iniziativa comune e scritto sul campo Kobe Forever. In quel momento ci siamo resi conto di aver creato una comunità e di dover tutelare il luogo in cui ci ritrovavamo». La molla finale l’ha fatta scattare Fx Rougeot, un fotografo francese che visitando una volta all’anno il campo nell’ambito del suo progetto United Ballers ha cominciato a realizzare degli scatti ai ragazzi per poi decidere di farne una mostra. «Vedendoci da fuori – prosegue – abbiamo capito di essere qualcosa di più di semplici ragazzi che giocano a pallacanestro. Ci siamo resi conto di essere un presidio attivo, composto da tanti operatori sociali non riconosciuti che si prendono cura del luogo e delle persone che lo frequentano».

Nasce così, nella primavera del 2021, l’Associazione Regaz dei Fava, con una propria mission, delle regole, due loghi e perfino un saluto particolare, in cui si incrociano due dita della mano come se si prendesse insieme un pallone per tirare. Il passo successivo è stato creare un patto di collaborazione col Comune di Bologna, che l’anno scorso ha portato a realizzare un progetto di riqualificazione del campo: grazie all’associazione NOT IN MY HOUSE e al coinvolgimento di Red Bull, tale sinergia ha permesso di rimettere a nuovo il campo, disegnando lungo tutto il rettangolo di gioco un gigantesco Nettuno che abbracciando la Torre degli Asinelli tiene in mano una palla da basket. L’opera, messa a punto dagli artisti torinesi di Truly Design, ha dato un ulteriore marchio di originalità al campo.

L’effetto finale è quello di un luogo fortemente caratterizzato, dove giocare a basket è il mezzo e non il fine per condividere non solo le proprie passioni, ma un’esperienza di vita quotidiana.

Giuseppe Mugnano

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Foto: Regaz dei Fava – Fx Rougeot – Edoardo Sarzana