Il Giro dell'Emilia, la corsa dei campioni nel nome di Girardengo

Il Giro dell’Emilia, la corsa dei campioni nel nome di Girardengo

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Correva l’anno 1909 quando… no, non stiamo parlando della fondazione del Bologna Football Club, ma di una delle corse ciclistiche più antiche d’Italia, il Giro dell’Emilia. Una superclassica (per usare il linguaggio degli appassionati delle due ruote) che domani arriverà all’edizione numero 108. In questa gara si sono sfidati e hanno trionfato i più grandi della storia: Coppi, Bartali, Merckx e Moser tra i giganti del passato; in epoca più recente Cassani, Ullrich, Simoni, Basso e infine Roglic, che ha conquistato 3 delle ultime 5 edizioni. Stavolta, invece, la star più attesa è lui, il vincitore di tutto, il nuovo ‘Cannibale’ Tadej Pogacar, che arriverà sulla salita finale di San Luca sfoggiando per la prima volta la maglia arcobaleno di campione del mondo, ultimo straordinario risultato di un anno magico in cui è riuscito nella straordinaria impresa di compiere la doppietta Giro d’Italia-Tour de France, 26 anni dopo l’indimenticato ‘Pirata’ Marco Pantani.

Fonte: girodellemilia.com

L’impresa iridata dello sloveno, che ha tagliato il traguardo dopo una fuga di oltre 100 chilometri, metà dei quali percorsi in solitaria, ricorda le gesta di un grande campione del passato, che il Giro dell’Emilia l’ha vinto per ben 5 volte, primato che rimane tuttora imbattuto: Costante Girardengo, il più grande corridore italiano d’inizio Novecento. ‘L’Omino di Novi’, come lo chiamano dalle sue parti nel piemontese, debuttò tra i professionisti nel 1912 ma i suoi esordi non furono molto fortunati, poiché incidenti e infortuni ne rallentarono l’ascesa. Già dalla stagione seguente, però, il suo nome salì alla ribalta grazie al successo nei Campionati italiani di ciclismo. Quel tricolore l’avrebbe indossato per ben 9 volte, quasi tutte di seguito. Anche questo, un record assoluto. A ciò aggiunse 2 vittorie al Giro d’Italia, vari piazzamenti in tutte le grandi classiche ma mai nessuna affermazione al Tour de France, forse l’unica pecca di una carriera stratosferica.

Fonte: The Horton Collection

Quel buco in bacheca lo compensò sconfiggendo i suoi rivali (fra tutti i maligni fratelli Pelissier, che non perdevano occasione per mettergli i bastoni tra le ruote usando anche manovre poco ortodosse) nel Gran Prix Wolber, che si tenne giusto cent’anni fa, nel 1924, per le strade della Francia. All’epoca, trionfare in corse del genere era roba da supereroi: le strade non erano asfaltate e si correva per centinaia di chilometri senza l’ausilio dell’ammiraglia. In caso di malesseri o forature, si poteva far affidamento solo su se stessi. Di corse così Girardengo era il maestro assoluto, e quel successo gli valse grande fama sulla stampa internazionale: prima dell’avvento di Binda e poi del leggendario duo Coppi-Bartali, il ciclismo italiano si riconosceva nel suo nome. Francesco De Gregori, a decenni di distanza, gli dedicò la canzone Il bandito e il campione, ricordando l’amicizia di gioventù col futuro criminale Sante Pollastri e l’epiteto che nel 1919, all’indomani della clamorosa annata in cui vinse 17 delle 22 gare disputate, coniò per lui la Gazzetta dello Sport: ‘il Campionissimo’.

Questo perché, oltre ai successi appena citati, Girardengo vinse la bellezza di 6 edizioni della Milano-Sanremo, forse la classica più iconica del ciclismo nostrano. Corsa che finora per Pogacar, come dichiarato da lui stesso dopo il successo mondiale che l’ha collocato nell’olimpo del ciclismo, «potrebbe diventare una maledizione». Aggiungendo, tra il serio e il faceto: «Probabilmente morirò provando a vincerla». Se potessero parlarsi, ‘il Campionissimo’ avrebbe forse qualche consiglio da dargli.

Fonte: sky.it

Giuseppe Mugnano

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Foto copertina: girodellemilia.com