San Donato, la polisportiva del popolo
In una Bologna che stava ancora leccandosi le ferite della Seconda guerra Mondiale, nel 1948 nacque nel quartiere San Donato un nuovo luogo di aggregazione per ridare ai giovani quel tanto di socialità e spensieratezza che il conflitto aveva tolto: la Casa del Popolo intitolata a Leonildo Corazza, partigiano scomparso solo quattro anni prima insieme a suo fratello Eliseo, entrambi deportati nel campo di concentramento di Mauthausen. In quartiere il loro era un nome da ricordare (soprattutto se si pensa che la cognata si chiamava Carolina Guazzaloca, ai più conosciuta come ‘Lina’, partigiana della Brigata Garibaldi di cui vi ho già parlato), il miglior esempio possibile per i ragazzi della zona.
Fin da subito venne creata la prima squadra di calcio di quartiere, il San Donato, che trovò appoggio nella neonata UISP (Unione Italiana Sport Popolare), nata nella stesso anno dalle ceneri del Fronte della Gioventù, l’associazione clandestina dei partigiani formatasi nel 1943. I gialloblù iniziarono così ad allestire – tra gli Cinquanta e Sessanta – le prime compagini, divise per età, a cui vennero poi affiancate altre attività sportive come il cicloturismo, la pallavolo, la pesca sportiva, il biliardo e la pallacanestro.
La polisportiva divenne quindi un punto di ritrovo di tutti gli amanti dello sport, e non solo. La Casa del Popolo, per definizione, si era costituita come luogo di aggregazione per donne e uomini di tutte le età, un avamposto di cultura dove venivano organizzate feste, concerti, dibattiti, cineforum, spettacoli e raccolte fondi. Tutto in nome di un solo principio: la civiltà.
Intanto le squadre di calcio della San Donato iniziavano a far parlare di sé, inanellando vittorie in diverse categorie. Si pose dunque un’importante questione: costruire un campo da calcio attrezzato, un piccolo stadio all’altezza della loro fama. I lavori presero il via nei primi anni Settanta e durarono ben tredici anni, quando nel 1987 venne inaugurata la tribuna in cemento. Un lavoro immane, che aveva impegnato i soci per 12 mila ore, finanziando il tutto con iniziative, feste dello sport e tombolate, che avevano permesso di raccogliere la straordinaria somma di 35 milioni di lire.
«Sono arrivato qui alla fine degli anni Novanta – racconta Maurizio Barbieri, presidente della Polisportiva San Donato – per accompagnare mio figlio alla scuola calcio. Ho seguito per anni le attività della polisportiva ma senza esserne parte attiva. Mi entusiasmai così tanto a questo ambiente che un giorno mi chiesero di fare l’allenatore dei ragazzi. Accettai subito, perché il calcio è sempre stata la mia passione». Una passione granitica, quella di Maurizio, trasformatasi poi in un lavoro vero e proprio dopo la pensione. «Ho gestito bar per tutta la mia vita, e spesso erano frequentati dai ragazzi della San Donato. Entrare in società è stato una scelta naturale, ma mai mi sarei immaginato di diventare presidente. Ricopro questo ruolo da oltre vent’anni: da qui ho visto passare centinaia di ragazzi, a cui abbiamo sempre insegnato molto più del calcio. La nostra filosofia è piuttosto semplice: qui si impara a stare insieme, a rispettarsi l’uno con l’altro, ad essere una squadra. Nessuno nasce campione, lo si diventa impegnandosi giorno dopo giorno, ragionando come collettivo e mai come singolo».
Maurizio Barbieri parla come un padre di famiglia dei suoi piccoli calciatori, che ha cresciuto e sostenuto, coltivando il loro talento ma soprattutto la loro passione per lo sport. «Molte volte ci è capitato che alcune squadre venissero a vedere i nostri ragazzi, chiedendoci di prenderli con loro. Anche il Bologna Football Club ha bussato più volte alla nostra porta, e siamo stati sempre felici di far tesserare i migliori talenti con la squadra della nostra città. Alcuni di loro hanno poi proseguito la loro carriera da professionisti, altri hanno lasciato una volta raggiunta la maggiore età. Il calcio non è solo questione di talento, ma di testa».
La Polisportiva San Donato è stata quindi la casa di tanti campioncini, che hanno sempre mantenuto forte il legame coi loro primi allenatori. «Tanti ragazzi sono tornati da noi – conclude Maurizio – chiedendoci di poter rientrare in squadra. Ciò ci rende molto orgogliosi, vuol dire che abbiamo seminato bene». Maurizio è l’esempio vivente di un calcio che quasi non esiste più, fatto di cuore e passione. Di famiglie e bambini che arrivano per incontrarsi e passare del tempo insieme, che vi sia un pallone o meno. Chi allena, come Maurizio o il suo amico Rino Rigosi, che di calcio professionistico ne ha masticato parecchio, ha una ferrea convinzione: «Il calcio ti regala tanto, è una scuola di vita. Eppure molti iniziano e poi mollano quando il gioco si fa duro. Lì è la passione a farti andare avanti, la voglia di emergere: è una questione di testa, come dice Maurizio. Diventa calciatore chi è più determinato e ha voglia di sacrificarsi». Basta guardarli questi ragazzi, per capire che alla San Donato non esistono campioni, ma soltanto giocatori.
Giuseppe Mugnano
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Foto: Polisportiva San Donato