Una vita per lo sport. La storia di Oliviero Zanardi, il ragazzo del Madison
Esistono pagine che la storia non scrive, ma che scorrono tra i rivoli sotterranei della città. Nascono e crescono per poi sfociare in fiumi di emozioni che, andando controcorrente, riemergono prepotenti per arrivare alla fonte. La storia di Oliviero Zanardi, bolognese DOC, è una di queste, ignote ai più eppure impossibile da tacere. Negli anni Cinquanta è un bambino che vive fuori porta Lame, in un quartiere ancora non esistente. Pura periferia, una campagna ai bordi della città dove la vita scorre placida in un cortile tra le galline e l’uva sgraffignata dal contadino dietro casa. Oliviero respira l’aria ripulita dai fumi della città in piena ricostruzione postbellica, ma fin dalle scuole medie inala il profumo di una Bologna che si sta rigenerando.
Nel 1956 suo padre Alberto diviene il custode del Palasport di piazza Azzarita, così tutta la famiglia si trasferisce nel quartiere Lame. Da lì inizia la sua vita da cittadino. «Fu l’inizio della mia gioventù. Ben presto conobbi tutti – racconta Oliviero –, dai giocatori di pallacanestro ai ragazzi dell’atletica, fino al ‘Gigante’ Checco Cavicchi, un mito del pugilato. E anche gli altri mi riconoscevano, spesso mi venivano a cercare per chiedermi di individuare qualcuno tra la folla: mi bastava allungare il collo verso il campo per trovarlo; era come stare in famiglia».
Al Madison (solo nel 1996 cambierà il nome in PalaDozza), all’epoca, giocavano ben tre squadre di basket, la Virtus, il Gira Preti e la Moto Morini, ma era il contorno a dare un sapore speciale a quelle occasioni. «Prima della sfida tra la Virtus e l’Ignis di Varese si presentò un signore a chiedere dell’acqua fresca, visto che si moriva di caldo, ma non l’avevamo. Rimase così sorpreso che si offrì di vendere ad una cifra pressoché simbolica uno dei suoi frigoriferi: era il signor Borghi, patron dell’Ignis».
Erano gli anni ruggenti del boom economico e Bologna si dava lustro non solo attraverso lo sport (inutile ricordare la fama della città per le imprese recenti del grande BFC), ma anche grazie ai diversi concerti – fissati solitamente al lunedì – che si tenevano al Palasport. Tra i tanti, Zanardi ricorda con affetto quello dei Platters, il celebre quintetto di Only You, che arrivarono in città nella primavera del 1958: «Lo seguii tutto ingessato, avendo subito poco prima un’operazione all’anca, piazzato alla bell’e meglio su un carrello per i rifiuti riadattato a letto. Divenni così la seconda attrazione della serata», ricorda con un ghigno.
Il primo grande evento internazionale si tenne però nel 1960, quando l’Italia ospitò le Olimpiadi e sotto le Due Torri arrivarono le squadre di basket per il torneo preolimpico: «Mi chiesero, appena maggiorenne, se ero capace di scrivere a macchina per dare una mano all’ufficio stampa del Palasport, per cui in pochi giorni trasferii su matrice decine di comunicati stampa, spesso lavorando fino a tarda notte. Eppure non lo consideravo un lavoro». Oliviero entrò così nella vita sportiva della città, iniziando a frequentare anche lo stadio Comunale di Bologna, che col Madison condivideva il direttore: «Preferivo sicuramente le gesta dei cestisti, ma seguii con entusiasmo le imprese del Bologna di Bernardini. Non si poteva essere dei ‘partigiani’ se si faceva parte di quell’ambiente».
Anche dopo la pensione di papà Alberto e la fine dell’esperienza al Palasport, Oliviero continua a frequentare i luoghi dello sport bolognese, venendo assunto all’Istituto Superiore di Educazione Fisica (ISEF, che a Bologna nacque nel 1960), ruolo che ricoprì fino al 1980, quando prese posizione contro «un ambiente da gente in mezze maniche, poco genuino e per niente amichevole». Si spostò quindi alla UISP e dopo ancora per vent’anni in un’azienda di trasporti, sempre nel ruolo di contabile. «I numeri mi piacevano e i conti li sapevo fare bene, ma arrivato all’età della pensione sentivo il bisogno di trovare altro a cui affascinarmi: iniziò così il mio lavoro di ricerca storica».
Arriviamo così agli anni Duemila, quando Oliviero fa il suo incontro con la Storia, iniziando a frequentare incontri e manifestazioni culturali (se non si considera la sua passione per il cinema e il teatro), come la Festa Internazionale della Storia, a cui partecipò nel 2011. «Non ho mai studiato Storia – ammette – e a scuola era una materia molto mnemonica che non aveva nessuna attrattiva per me. L’ho riscoperta molto tardi, con grande entusiasmo mi avvicinai alle vicende sportive della mia città, quelle che non avevo mai vissuto personalmente ma che per me avevano un grande fascino».
Con l’occhio curioso e un po’ malinconico di chi ha visto la città trasformarsi, inizia così a penetrare le pieghe del tempo: «Ho visto crescere Bologna, almeno fino al 1985, poi il tempo dei biassanot (i cosiddetti ‘tiratardi’ delle notti bolognesi) finì e la città cambiò volto», spiega. La noia per la vita da pensionato, a suo dire priva di cultura, lo avvicinò agli archivi, una sorta di dimensione parallela in cui ritrovare vecchi tesori nascosti.
«All’inizio, era il 2012, iniziai a far ricerche all’Archivio Storico Comunale, concentrandomi naturalmente sullo sport». Notando l’interesse per l’argomento e la grande dedizione, nel 2016 gli proposero di fare uno studio sullo sport negli anni della Grande Guerra. «Trovai in un primo momento poco e nulla, la documentazione di quegli anni era davvero scarsa e ne rimasi molto deluso, ma i miei amici archivisti mi spronarono a proseguire nelle ricerche. Fu così che un giorno, per puro caso, trovai in un registro una singolare dicitura: vasca natatoria. Non sapevo nemmeno cosa fosse, ma la curiosità mi spinse ad andare in fondo alla faccenda».
Dopo varie ricerche, Oliviero arrivò alla soluzione: altro non si trattava che di una piscina pubblica, costruita per delibera comunale del 1908 in via Milazzo, nei pressi del Museo d’Arte Moderna (MAMbo). «Fu una cosa pazzesca trovare un documento degli inizi del Novecento, un acquerello di un metro per settanta centimetri con il progetto della vasca. Una vera rarità! Ne fui talmente entusiasta che dopo la pubblicazione di quel libro cominciai a frequentare l’archivio due volte a settimana, facendo il volontario Auser per la guardiania pur di aver libero accesso. Potevo attingere alla storia di Bologna a piene mani».
Per spegnere uno spirito mai domo, è dovuta arrivare una pandemia globale, che ha comportato la chiusura degli archivi per lunghissimi mesi. Eppure le ricerche di Oliviero Zanardi non si sono mai arrestate: «Ho sempre odiato i ‘copia e incolla’, voglio toccare con mano le fonti, ripercorrere le storie fino ad arrivare alla loro genesi».
Non esiste un finale a sorpresa per questa storia, semplicemente perché non si è ancora conclusa. Oliviero, ‘saltatempo’ come e più di me, è un nobiluomo in bicicletta, straordinario nella sua semplicità. Con il suo entusiasmo mi ha aiutato a capire che non bisogna accontentarsi mai. La storia più bella è quella che scoprirai domani.
Giuseppe Mugnano
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Foto: Oliviero Zanardi