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Il dovere di prendere posizione

Il dovere di prendere posizione

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Il pacifismo è il più nobile e condivisibile degli esercizi in tempi di pace. È quando scoppia una guerra, per di più molto vicina ai nostri confini, che i suoi principi cominciano a vacillare. Fosse per i pacifisti a oltranza, l’Ucraina sarebbe già parte del delirante neo-imperalismo putiniano, così come oggi – con gli stessi presupposti – andremmo ancora tutti allo stadio Littoriale e berremmo caffè in piazza Hitler. Invece, guarda un po’, esistono ancora popoli che si ribellano, politici che non scendono a compromessi, nazioni che risorgono e fanno corpo unico, malgrado le scarse possibilità di successo e le nostre filistee equidistanze («né con Zelensky né con Putin», si è sentita pure questa…).
Rabbrividisco anche quando sento il coro «Zelensky arrenditi, ferma la guerra», come se questa guerra l’avesse iniziata lui e come se lo spegnimento automatico di morti e tragedie dipendesse dal suo arbitrio, e non da quello di chi in Ucraina ha portato 200.000 invasori, minacciando l’uso dell’atomica. Come se gli ucraini, poi, meritassero di tornare di nuovo sotto il giogo russo, quello che nel 1932, nella stessa terra ora martoriata dai missili, eliminò scientificamente dai 2 ai 5 milioni di persone con una carestia pilotata, paragonabile per numero di vittime (dirette e indirette) solo all’Olocausto nazista.
Molti italiani almeno una volta nella vita hanno pensato: «Eh però, bravo questo Putin». Il risolutore dei problemi in Medio Oriente, il garante dell’ordine, l’uomo forte che piaceva molto a destra (tanto che un partito ci ha fatto pure un accordo di mutua collaborazione, poi presto rinnegato e annegato nel ridicolo) e sotto sotto anche un po’ a sinistra. Chi si sia rivelato veramente Putin, è sotto gli occhi di tutti. L’abbiamo capito tardi? Certamente. Quello che non capisco, oggi, è un’altra tenace minoranza (per fortuna estrema minoranza) che cerca di trovare motivazioni storiche a questa guerra.
«L’Ucraina è un Paese giovane, in fin dei conti è sempre stata dentro la Russia». Falso. L’identità ucraino-cosacca precede di parecchi anni la fondazione della stessa Mosca. Ma quand’anche non fosse così, a quanti dominatori stranieri dovremmo allora render conto noi italiani, coi nostri 160 anni di storia indipendente? «L’Ucraina arma milizie naziste», eccepisce chi cita Putin a proposito di «denazificazione dell’Ucraina», un concetto talmente antistorico e delirante che farebbe persino ridere, se non avesse risvolti così drammatici. Che l’Ucraina non sia un paese nazista e assai poco russo l’ha dimostrato la sua capacità di reazione oltre ogni soglia di eroismo immaginabile. Mentre in tutta la Russia poche migliaia (per il momento) di manifestanti rischiano il manganello per scendere in piazza e protestare, in Ucraina le persone si radunano per costruire molotov fai-da-te, argini di sabbia, barriere d’ogni tipo. A volte arrivando a mettersi di fronte ai carri armati a mani alzate. Perché lo fanno? Perché a differenza di noi, sanno bene di cosa è capace la Russia.
Non prendere una posizione netta, sollevare eccezioni, agitare futili distinguo in questo momento storico è semplicemente un delitto. E siccome a noi, per fortuna, è richiesta per ora solo la pigra solidarietà dei nostri divani, almeno usiamola bene, sperando che la storia non ci chieda di fare anche solo un decimo di quello che stanno facendo – anche per noi – i nostri amici ucraini.

Luca Baccolini

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