Piccola presentazione. Sono un tifoso rossoblù nato a Roma che partendo dal soprannome ‘Balanzone’ (affibbiatomi dagli amichetti romanisti e laziali) ho acquisito anche la qualifica di ‘Dottor’. Attualmente sono medico di medicina generale e pneumologo a Milano. Fatta questa premessa, aggiungo che ho cercato di informarmi il più possibile sull’attuale emergenza dell’infezione da Coronavirus al fine di comprenderne meglio la rilevanza e i pericoli, per me e per i miei assistiti.
Dottor Balanzone, ci aiuti a leggere i dati che vengono offerti sulla diffusione dell’infezione da Coronavirus in Italia. «A mio modestissimo parere, ad oggi 31 marzo 2020, il peggio – almeno per l’Italia – potrebbe essere passato. Se i dati mantengono questo trend, il cosiddetto ‘picco’ è molto vicino (questione di giorni), ed è stato probabilmente già raggiunto in Lombardia (toccando scaramanticamente tutto ciò che è lecito toccare a meno di un metro di distanza). Una volta raggiunto il picco – stando ai precedenti modelli cinesi – ci attenderà una discesa di circa un mese, con annesso graduale recupero delle libertà perdute. L’ottimismo non deve però far cedere di un centimetro dall’attuale rigore nel seguire le regole, dettate dagli esperti e adottate dal governo.
Infatti, grazie alle note misure di prevenzione, il tasso di incremento dei nuovi casi di positività al virus è sceso in breve tempo dal 25% (media del periodo di massima contagiosità) a circa il 4%. Questi dati corrispondono ad una notevole riduzione dell’efficacia trasmissiva del virus (detto anche tasso di tasso di contagiosità o di riproduzione, con sigla R0), che partiva da un valore di 2,5 a 3,5 (confermato a livello mondiale).
In pratica, vuol dire che senza misure di prevenzione una persona positiva al virus può contagiare altre 2,5-3,5 persone. Solo quando R0 diventa inferiore a 1 si esaurisce l’efficacia trasmissiva del virus e, come accade quando scende il tasso di natalità degli esseri umani, il virus stesso è destinato all’estinzione! Il calcolo dell’R0 è molto complesso (per chi vuol farsi venire il mal di testa c’è un articolo liberamente accessibile che spiega come elaborarlo al seguente link, tuttavia una stima approssimativa può essere effettuata mettendo il suddetto tasso di incremento in relazione con la durata della contagiosità della persona infetta, che è – in media – di circa 14 giorni). Ebbene, in base ad una valutazione di questo tipo – ovviamente approssimativa – l’R0 <1 potrebbe già essere stato raggiunto. Per questo sono ottimista.
È anche importante notare che se le misure di contenimento non fossero state applicate – e quindi la diffusione del contagio avesse proseguito con i ritmi di incremento del 25% –, oggi i casi totali, invece che poco più di 100 mila, sarebbero circa 800 mila; ed entro il 20 aprile avremmo superato i 60 milioni, coprendo idealmente tutta la popolazione italiana.
Tuttavia, dobbiamo essere ben consapevoli che l’ottenimento degli attuali risultati è frutto di un periodo di isolamento, quindi è logico che si debba continuare a comprimere il più possibile l’incremento dei casi affinché – quando l’isolamento, gradualmente, cesserà – non si riattivi il tasso ‘naturale’ di contagiosità (R0 2,5-3,5) e ricominci quindi il carosello… Ma è ragionevole immaginare che, imparata la lezione, anche con minori restrizioni, noi italiani continueremo ad essere tutti molto prudenti, pazienti e perseveranti».
Qual è l’aspetto più drammatico di questa emergenza? «L’aspetto davvero drammatico della ‘emergenza Coronavirus’ è il fatto che sia giunto così improvviso, sorprendendo tutti, inclusi esperti e governanti, con una letalità impressionante (ad oggi i decessi in tutto il mondo provocati dal COVID-19 sono 40.636) e, almeno all’inizio, apparentemente incontrollabile, cogliendoci impreparati e sprovvisti di apposite strategie terapeutiche. La stessa comunità scientifica è rimasta all’inizio spiazzata, dividendosi tra chi gridava “allarme” e chi invece invitava alla calma.
A dire il vero, erano molti anni che gli esperti virologi avevano previsto un evento simile – con tanto di studi di simulazione –, ovvero che un nuovo virus (come era accaduto tante altre volte in precedenza), facesse il cosiddetto ‘salto di specie’, dall’animale all’uomo, maturando però una straordinaria efficienza nella capacità di aggredire le cellule umane.
I maggiori indiziati per questa evoluzione maligna sembravano essere i virus influenzali, che già con precedenti mutazioni avevano causato danni epocali. Emblematico il caso della cosiddetta ‘spagnola’, esattamente un secolo fa (1918-1920, virus dell’influenza H1N1), con 50-100 milioni di decessi (tuttora è difficile stimare il numero esatto). Poi arrivò la ‘asiatica’ (1957-1958, ceppo H2N2), con oltre 1 milione di morti (analogamente a quanto accadde con l’influenza di Hong Kong nel 1968-1969, ceppo H3N2). Più recentemente, ci fu il ritorno ‘sospetto’ dell’H1N1 (influenza ‘russa’ o ‘rossa’ del 1977, forse una ‘fuga’ da laboratorio), che colpiva i giovani e determinò poi la ‘suina’ del 2009, con 300-400 mila morti. Da quegli anni in poi, vi fu un categorico imperativo mondiale per la vaccinazione anti-influenzale.
Tuttavia – usando il gergo calcistico – il virus influenzale, con un’accorta manovra a centrocampo, aveva attirato a sé l’attenzione della difesa e creato spazio per il lancio filtrante al ‘falso nueve’. La prima avvisaglia di un attacco simile era già avvenuta con la SARS del 2003-2004, determinata dal Coronavirus (un tipo di virus solitamente coinvolto nel comune raffreddore), denominato CoV-SARS. Dopodiché è arrivato il ‘fratello furbo’ CoV-SARS 2. Un virus straordinariamente anomalo ed evoluto (nella capacità di adesione alle cellule, con conseguente penetrazione), capace di causare nell’organismo una reazione aberrante, tale da scatenare una ‘tempesta di citochine’, ovvero sostanze che provocano infiammazione.
Purtroppo, in alcune persone, l’esagerata reazione infiammatoria diventa danno irreversibile (sanguinamento e fibrosi), soprattutto a carico degli organi le cui cellule sono preferite dal virus. In particolare, a livello dei polmoni (pneumociti), intestino (enterociti), cuore (miocardiociti) e muscoli (miociti). I decessi sono infatti principalmente determinati da questa reazione: una sorta di suicidio assistito. A rischiare di più sono le persone già affette da malattie croniche, sia per l’infiammazione sottostante – implicita in tali patologie –, sia per la maggiore fragilità di tutto l’organismo e, in particolare, del sistema immunitario.
Detto ciò, c’è un’altra parte dell’uomo che viene colpita, senza distinzione di età, sesso, salute o malattia, si tratta della psiche ovvero, simbolicamente, il cervello.
È infatti evidente il disagio psicologico che ha colpito tutta la popolazione, personale sanitario incluso. Come immagino per tutti, il Coronavirus è per me un pensiero fisso, giorno e notte, sogni compresi».
Come sarà il rientro alla normalità? «L’isolamento forzato ha cambiato la nostra vita, probabilmente – in parte – in modo permanente. In ognuno di noi si è sviluppato un sentimento ambivalente nei confronti del prossimo: da un lato la solidarietà nel vivere un dramma comune, dall’altro il timore e il sospetto per un possibile contagio, e quindi l’esigenza di tenere a distanza l’altro, considerandolo un pericolo. Un grande aiuto l’ha comunque offerto la tecnologia – come internet e le comunità virtuali – che ha contribuito a mantenere il contatto e la condivisione. Ci siamo poi abituati a essere più disciplinati, a stare più attenti all’igiene e ai consigli di prevenzione. Penso e spero, che a questo periodo di forzata chiusura, segua anche un’apertura del cuore e della mente, e che vi sia quindi un radicale cambiamento nello stile di vita di tutti, nel rispetto della Natura.
Non possiamo infatti ignorare il fatto che questo e altri virus passino all’uomo a causa di terribili pratiche di allevamento, di sfruttamento e di maltrattamento degli animali. Inoltre, sembra che l’infezione abbia trovato terreno fertile nelle aree di maggiore inquinamento; anche questo ci deve quindi far riflettere. Infine, il virus colpisce maggiormente gli organismi indeboliti da fattori determinati da un errato stile di vita, come l’obesità e il tabagismo.
Forse – in definitiva –, se c’è una ‘colpa’ da cercare per quanto sta accadendo, potrebbe essere una colpa degli uomini. Ma questo sarebbe un buon segno, perché vorrebbe anche dire che può dipendere da noi la soluzione, vivendo meglio, con meno pretese e più rispetto per gli spazi, le regole, gli animali e tutta la Natura. Anche quella umana».
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