Un tenero riccio preso a calci come fosse un pallone da un gruppo di ragazzini e poi, per completare l’opera, gettato sui binari della ferrovia.
Una docile elefantessa, peraltro incinta, morta fra atroci sofferenze dopo aver mangiato un ananas riempito di petardi che le è esploso in bocca.
Al termine di un periodo in cui, per forza di cose, non si è fatto altro che parlare del COVID-19, ecco ricomparire le gesta dell’uomo a ricordarci che forse siamo noi il virus più pericoloso sul pianeta Terra.
Sorrido, amaramente, pensando all’opposto significato che si dà ai termini ‘umanità’ e ‘bestialità’, e a loro comune utilizzo: venire paragonato ad una bestia, di questi tempi, rappresenta un complimento.
Nel nostro sentirci onnipotenti crediamo che siano gli animali a dover imparare qualcosa da noi, ma è l’esatto contrario.
Certo, tra le mura domestiche vanno cresciuti bene e in natura possono avere comportamenti più o meno aggressivi, arrivando inavvertitamente anche a considerarci delle prede, ma sono incapaci di provare odio.
Noi esseri umani no, spesso ci nutriamo proprio di quello.
Si vive per odiare, più che per amare. Temo che questa orrenda caratteristica faccia ormai parte del nostro DNA, salvo rare lodevoli eccezioni.
Nel mio piccolo, forse invano, continuo a sperare nell’arrivo del giorno in cui saremo tutti un po’ più bestie. E un po’ meno umani.
Mario Sacchi
© Riproduzione Riservata