Caligola è morto (2^ parte)

Caligola è morto (2^ parte)

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Già pubblicato sulla rivista Mani future (gennaio 2002) sotto lo pseudonimo di Anonimo Butriense.

Charlie era sparito la primavera precedente. Adesso era novembre e ancora non s’era rivisto. Ogni tanto veniva la Giulia e subito se ne andava. Andricco il lavapiatti diceva in realtà che Caligola avesse proposto al Charlie di ‘fare’ un certo appartamento e che Charlie lo avesse giudicato inaffrontabile, così Caligola ci aveva provato da solo facendosi beccare. Ma poiché in questura aveva fatto il nome di Charlie, in cambio della gratuita soffiata avrebbero messo fuori lui e dentro Charlie. O forse il colpo lo aveva tentato Charlie da solo e Caligola, messo alle strette, lo aveva denunciato, Però, di preciso, non mi ricordo.
Fu dunque una sera di novembre come questa (e l’anno lo dedurrei ragionando), che gravato d’immotivata malinconia passai da Ghitån, prima di prendere la direzione di San Vitale. Mauro Baccilieri e Maccagnani, l’impiegato della sala corse di via Saffi, stavano giocando la bella a boccette e Maccagnani, che era in serata felice, ad ogni filotto rimbrottava Baccilieri come se fuor di partita ce l’avesse proprio con lui. Alle strette di fine partita, pallino sotto e tre boccette di Maccagnani piazzate, con l’ultima Baccilieri era andato a punto ma non in modo perfetto perché non si proteggeva col pallino: così Maccagnani gli era andato sotto di stricata giusto da mandarla sugli ometti: otto più otto di colore più trentaquattro cinquanta.

«Si ricordi che Santarelli, se vuole, è il miglior portiere d’Italia», rinfacciò Maccagnani con una certa cattiveria.

Anche a me, in fondo, piacque il rincaro di dose di Maccagnani, perché la fede juventina di Baccilieri per me bolognese, e neofita ai furori del calcio, sembrava cosa bizzarra.

«Av tucarà ed cambièral!». «Vi toccherà di cambiarlo!», rimbeccò Mauro seccamente.

Intanto mi cercai in tasca cinquanta lire e come accorgendomi che s’era fatto un certo silenzio andai al jukebox per mettere Apache. Si fa presto a bocciare due accordi di bemolle, ma io dico che certe cose bisogna averle sentite dalla gola tonante di un Seeburg o di un Wurlitzer. E nel passaggio che quei furboni di arrangiatori facevano concorrere un mare di chitarre all’unisono e io nella fragorosa densità del suono stavo sospeso in stupefazione come a godere l’immanente universo mondo, un movimento prese l’intero locale. Tutti si alzarono e tutti andarono verso l’uscita. Quando mi girai vidi Caligola rovesciato per terra con tavoli e seggiole, le mani sulla pancia, mentre su una striscia vermiglia che finiva contro il banco lordando dappertutto sembrava stesse a cavalcioni il Charlie, reggendo un coltello scanalato, simile a quello che in casa mia ci ammazzavano il maiale, solo un poco più corto.
In un attimo mi ritrovai fuori, sospinto dagli avventori che scappavano. E anch’io scappai, chissà perché, prima a passi trattenuti, come ci avessi colpa e dovessi figurare che il fatto non era mio, poi correndo a perdifiato appena svoltato per i portici di Rivareno.
M’ero accorto intanto che s’era fatto molto tardi e appena dieci minuti mancavano a che l’ultima corriera partisse. Nebbia. Lampioni. Refoli di freddo. Via dell’Orso. Marsala. Io andavo come fossi colpevole. Intonaci sbrecciati di colonne. Agli incroci filavano biciclette svelte come meteore, portate da incappucciati anche loro, chissà perché, fuggitivi. Via dell’Unione. Arcate di portico finivano nel vuoto. Demolizioni interrotte alzavano monconi come di membra mozzate quasi a domandarsi cosa fosse accaduto. In Belmeloro gli attacchi dei mattoni si propendevano ancora come denti anneriti, innesti a caseggiati che non c’erano più. Era ferita anche la città come Caligola. Come Caligola pezzi di Bologna erano andati; chissà dov’era finita la gente. Forse era quella intabarrata che andava rasente lungo i muri dei portici e spariva guardinga negli androni, mentre qualche automobile passava come lenta pantera. Porta san Vitale. Sferragliare di un tramvai. L’ultima corriera Bologna-Mordano era già in moto e io saltai su mentre Rossano dava gas verso il buio della pianura.
Il giorno dopo Baccilieri mi raccontò com’era andata, lui che era dovunque e tutto sapeva: che Caligola si era presentato da Ghitån in completo Sangallo.

«Che bèla sâca t’è!». «Che bella giacca che hai!», si era complimentato un redivivo Charlie.

Caligola, sorpreso e come a schermirsi aveva aperto la giacca, e allora tra le falde Charlie gli aveva infilato il coltello e lo aveva tirato fuori. Era come se avessero tranciato, disse Baccilieri, come se avessero tranciato il collo a una bottiglia ed vénn naigher. Poi Charlie si era rifugiato al Moco di via Orefici, dove lo avevano trovato i Carabinieri mentre ascoltava trasognato Tesorino, detto Coco. Al maresciallo che lo fece salire sulla macchina per arrestarlo, sembra che lui avesse chiesto:

«Caligola el môrt?». «Caligola è morto?».

«Per tua fortuna no», aveva risposto il maresciallo.

«L’é l’istàss», concluse Charlie. «Al mâz st’ètra vôlta!». «È lo stesso, lo ammazzo la prossima volta!».

Bombo

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