«Ogni ritorno è un’andata verso la morte». [Anonimo]
Renzo Garofoli è l’ultimo testimone del Miramonte. Oltre a me, che per la verità sono spurio per provenienza e un po’ sporco di letteratura. Se ne è accorta l’Amira, che da qualche anno è andata ad abitare nel quartiere. Amira parla cinque lingue. Può insegnarne due. Conosce le leggi e la burocrazia di questo Paese. Si disbriga benissimo in lavori pratici e umili, dopo dimostrate competenze in quelle che oggi si chiamano funzioni gestionali: dice che ha avuto da scolaretta un maestro cieco, alto e con gli occhi bianchi, munito di un righello di due metri con cui arrivava a segno preciso e dappertutto. Avvezza alla sopportazione di atteggiamenti discriminatori, che sovente si riversano anche in busta paga, rappresenta il forte e il bello che l’immigrazione ha portato da altri mondi presso di noi.
Nella sua minuscola casa, accanto a quella che fu la bottega di Crudele, l’Amira ha stipato una bella biblioteca, messa assieme leggendo assiduamente, poi frequentando fiere letterarie, poi spulciando bancarelle rionali e librerie dell’usato.
È l’Amira che mi riporta sulle tracce di Renzo, che è vecchio della mia stessa vecchiezza. Però è molto fortunato, perché anche le ragazze di oggi lo coccolano indovinando nel suo profilo sbozzato di sghembo una persistente bellezza:
«Voi non immaginate quanto Renzo fosse figo», dicono quelle appena un po’ meno giovani che lo conobbero al tempo.
Dunque, tabagista all’inverosimile e coi polmoni compromessi, mentre si gode il fresco mattutino che spira lungo il Miramonte fino al bar della Evelin, al Caffè del Tribunale, questa sfinge dell’urbe di Bologna dice che la brezza sarebbe più affluente, se non ci fosse là in cima il palazzo che sbarra per traverso il Miramonte oltre la scalinata. Io so che la costruzione sostituì l’oratorio di Santa Maria delle Febbri e risale al tempo che furono abbattute le mura, segno che la memoria di Renzo è più lunga della sua stessa età. Poi, mentre va incrociando accanto a lui il viavai di bella gente che accede o ridiscende dai nuovi B&B, fighe di segreteria, marketing manager più o meno arrivati, più o meno sfigati, turisti senza criterio, tutti affetti da compulsivo scalpiccio, con malcelata riluttanza a domanda risponde:
«Sì, quella volta accompagnai Budellacci sulla MV fino a Milano per una questione di pilla e ogni venti chilometri ci dovevamo fermare, se no il cilindro al gripèva».
Lui allora faceva il motorista e taroccava la meccanica, ora sembra non avere più interessi. Con rade parole, tra una Marlboro e l’altra, tra un accesso di tosse e l’altro, così come accadeva ultimamente a Baccilieri, Renzo aggiunge qualche pezzo al ricomporsi del puzzle dentro la mia memoria. Non si ricorda il nome del vicino che al numero 9, senza chiavi di entrata, saltava dentro casa dalle basse finestre, che oggi sono provviste di belle inferriate. Però rintraccia la provenienza del pilota che capitò da Crudele: a fianco della ‘casa chiusa’ del Falcone infatti, esisteva già un albergo. Ora è tutto un hotel di gran lusso, con giardino di piante forestiere che non c’entrano niente e in quanto ai rapporti tra lui e i proprietari, dice che si salutano «ma lui si fa i cazzi suoi e loro fanno i loro».
È però un accenno all’apparenza trascurabile quello che evoca l’episodio che anticipò il destino del quartiere, anche se questo lo dico io, ma io col Tempo ci parlo e posso dire tutto quello che mi pare.
Una notte, quelli del Mirasole decisero di fare uno scherzo a Crudele.
Si provvidero di mattoni, calce e tintura e in qualche ora murarono la porta di entrata della bottega, intonacarono la nuova parete e la tinteggiarono, tale e quale ai muri adiacenti.
Il mattino alle 7, come sempre proveniente da Monteveglio, Crudele restò interdetto e cominciò a lamentarsi:
«Im èn rubè al negôzi…». «Mi hanno rubato il negozio».
Così accadde per scherzo alla bottega di Crudele e così dovette accadere per davvero al mondo dei Mirasù, dove anch’io per una stagione germinai qualche frutto della mia giovinezza.
Dice l’Amira, che all’ombra delle piramidi aveva letto di nascosto Platone e qualche latino, che in fondo il Mirasole non è finito e che il demone Genius Loci si aggira ancora sotto i portici, si arrampica sugli sporti, e dagli alloggi ristrutturati parla con la voce profonda di Baccilieri e talvolta inveisce con le strida irose di Gustén.
«Niente va perduto», è la sua giusta conclusione.
A me però, che sono impastato di una materia passata di lavorazione e cottura, lasciatemi pensare a mio modo. Anch’io ho provato ad ascoltare ma, senza rimedio, so che le voci nascono e muoiono solo dentro al mio cuore.
Bombo
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.
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