Fuoco amico - Scena prima: La non irreprensibile vita di Lucianino detto 'il Bufalo'

Fuoco amico – Scena prima: La non irreprensibile vita di Lucianino detto ‘il Bufalo’

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Ripropongo un raccontino che già conoscete, con l’aggiunta di alcuni ritocchi, a maggior grazia della parabola. E grazie per la lettura, se leviterà un po’ di affetto per un piccolo personaggio che in fondo rappresenta, a suo modo, la grandezza dell’imperfezione umana.

Nello spigolo interno in capo al portico di via dell’indipendenza, all’angolo con via dell’Orso, ci sono una serie di scalfitture dovute a vicissitudini del tempo anche se più volte riverniciate. Di una di queste però conosco l’origine. E all’altezza degli occhi dal lato di via dell’Orso e mi fu indicata dal suo autore, senza enfasi e a puro titolo di cronaca. Si tratta del segno di un proiettile di pistola Beretta M34 calibro 9 corto, così mi pare di ricordare, che il gappista partigiano Bufalo Bill, nome di copertura, aveva sparato contro il maggiore tedesco Kurt Muller, che aveva appena fatto una capatina al casino di via dell’Orso, oggi Hotel Metropolitan, e che stava svoltando a piedi per Indipendenza.
Il colpo andò a vuoto e di qui la scalfittura, rimasta indelebile e anonima e che tale resterà fino a qualche prossimo radicale restauro. Il tiratore scelto dei GAP che abbiamo appena tirato in ballo, per un certo ambiente fu dunque nominato il Bufalo fino alla fine della vita, mentre per me e per i miei amici fu sempre Lucianino, siccome era piccolo, simpatico e stizzoso. Io l’ho conosciuto che era già molto anziano, molto più della sua stessa età voglio dire. Camminava col bastone, la voce arrocchita da antichi vizi, pochi denti, baffi bianchi spioventi. Me lo presentarono al banco del bar quale amministratore delegato di un consorzio di ristoratori, e quale fosse la sua funzione si rivelò di lì a qualche giorno quando dalla Banca del Monte dei Paschi telefonarono al mio collega ristoratore nei termini seguenti:

«C’è qui un vecchietto che minaccia il direttore col bastone perché vuole il suo libretto degli assegni».

Il fatto è che lo avevano nominato amministratore perché gli facesse da testa di legno. Ed era pur suo diritto a quel punto poter accedere al simbolo, diciamo così, più importante del potere. E tuttavia finì qui la carriera manageriale di Lucianino il Bufalo.
Quale fosse il suo carattere profondo, cominciai a capirlo quando si innamorò della mia cameriera Marlene, bionda caraibica di pelle ramata, figlia di un ex generale di Fidel Castro. Alla Marlene avevano rubato la bicicletta nuova e così lui girò una settimana per tutto il quartiere universitario finché non riuscì a riconoscerla tra montagne di bici incatenate. Allora fece la posta al nuovo proprietario, segnatamente il ladruncolo, e lo minacciò col bastone:

«S’t a nun dè indrî la biziclàtta d’la Marlene at spâk la tèsta!». «Se non mi rendi la bicicletta della Marlene ti spacco la testa!».

Anche i nuovi fidanzati della Marlene dovevano stare attenti, perché Lucianino conservava in cantina la beretta M34 e minacciava senza indugio di sparargli nelle gambe. Fu anzi girando attorno a questa vicenda che venni a sapere del suo modo di vivere e sopravvivere. La vivace combriccola dei miei avventori che faceva la spola tra Cuba e Bologna aveva invitato Lucianino all’Avana per conoscere i genitori della Marlene. Immantinente, con la vendita di un quadro falso, Lucianino si era pagato il biglietto di viaggio. Si mise in moto poi un ex agente di polizia che si occupava di sveltire il rilascio dei passaporti, ma nonostante l’esperienza dell’intermediario per il passaporto non ci fu verso, tante di cabriolet Lucianino ne aveva combinate da intasare gli uffici notarili tra l’Italia e le sale da gioco di mezza Europa: per chi non fosse del ramo, dicesi cabriolet il sempiterno assegno a vuoto…
Il fatto è che la ricollocazione di Lucianino nel mondo del Secondo dopoguerra aveva avuto inizio durante la Liberazione, quando il gruppo da lui comandato aveva scoperto nel corso di una requisizione un baule colmo di preziosi, frutto di ruberie agli ebrei abbandonato dai tedeschi in fuga. Aveva fatto immediatamente irruzione sulla scena lui, Lucianino il Bufalo, che pistola alla mano aveva intimato:

«Fermi tutti! Questi beni vanno al Partito!».

Non ho mai potuto appurare di preciso la reale destinazione del ritrovamento, ma è sospetto che attorno a quel forziere si fosse dipanata la vita futura del Nostro. Era quindi riparato in Jugoslavia, in seguito ad altre complicazioni, presso una famiglia in cui vivevano tre sorelle. Aveva diciannove anni e questo fu per lui un periodo strepitoso. Tre sorelle tutte sue in un paese di maschi decimati dalla guerra e dalla guerriglia. Al di là dell’Adriatico c’erano ragazze dal profilo statuario, come non se ne vedevano da queste parti, e di forme così procaci da sovrastare il fisico esile di Lucianino. Ma lui era apportatore di mezzi che «i févan dal sît», che aprivano spazi. E lo diceva sottovoce facendo certi cenni ieratici con le mani.
E certo non fu per le donne, bensì per la sua pervicace fedeltà a Baffone che venne deportato nell’isola Calva (Goli otok), dove lo bastonavano tutte le mattine, pensa te, e dove lo sottoposero a ben tre false fucilazioni. Tornato in Italia si era dato ad attività di mercante, diciamo di trafficante di opere d’arte. Il suo pittore di riferimento era il capo di una corrente chiamata ‘Informale’, zio di un futuro influencer, che io conoscevo per uno che veniva da Roma a Bologna in elicottero. A Lucianino l’Informale an i piaséva brîṡa, non gli piaceva, e forse era per questo, per mancanza di stima verso il suo referente e non per altro, che tendeva a rifilare i falsi coi quali si sosteneva in una alterna esistenza. Anche se, nei momenti più bui, l’ancora di salvezza fu sempre un ex gerarca fascista al quale Lucianino aveva risparmiato la vita in tempo di guerra. Questi era poi diventato un famoso avvocato di cui non faremo il nome e ogni qual volta gli serviva un testimone ecco comparire in tribunale Luciano, finché non diventò troppo strano che lo stesso personaggio fosse sempre presente nei casi incresciosi…
Quanto a me, per tutto il periodo che mi girò per il locale, il mio compito fu di assicurargli sovente i pasti e nel contempo salvarmi dai suoi tentativi di rifilarmi patacche. È incredibile come in questi maneggi si facesse coadiuvare da uno suolo di ragazze, tutte regolari per altro, e non si capiva d’onde le facesse pullulare dal quartiere in cui gli avevano assegnato l’appartamentino comunale e in rapporto alle quali non si faceva scrupolo di tentare la mia linea di fedeltà coniugale.

Continua…

Bombo

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