Fuoco amico – Scena seconda: Come avvengono le cose e come erra il giudizio

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E veniamo al tema del fuoco amico intitolato all’inizio. Beh, rispettando le proporzioni, vi ricordo che nel più famoso romanzo della marineria la balena bianca Moby Dick emerge solo a un terzo dalla fine, dopo ottocento pagine buone di descrizione, considerazioni, filosofia e paccottiglia. Bene. Avevo letto che nel corrente conflitto in Ucraina, ogni 10 morti provocati 6 siano dovuti al cosiddetto ‘fuoco amico’. I belligeranti di ciascuna parte cioè si sparerebbero tra di loro, per insipienza, confusione, incertezza della situazione. Per questo i russi scriverebbero Z sui loro carri, nient’altro che per pararsi il culo dagli amici. Ed è così che mi è sovvenuto un altro episodio del tempo di guerra che si addice alla caratura del nostro protagonista, la cui distanza temporale ha trasceso il dramma e dopotutto illumina la natura contingente degli avvenimenti di questo mondo.
Nella sua vita da partigiano, a un certo punto il Bufalo fu destinato col suo reparto a operare tra i due fronti della linea Gotica, dalle parti di Monte Sole. Una bella sera, mentre la luna era alta e rischiarava le colline, Lucianino vede un movimento di truppe.

«A um tâc a la Breda e ta ta ta ta…». «Abbranco la mitragliatrice Breda e comincio a sparare…».

«T’avév da vàdder, j um parévan un brånc ed faravåṅi chi svulazèvan in zà e in là, da una pèrt e da cl’ètra, dsàtta e dsåura». «Dovevi vedere, mi sembravano un branco di faraone che svolazzavano di qua e di là, da una parte e dall’altra, di sotto e di sopra».

Poi Lucianino continua:

«Îran di franzîs…». «Erano francesi».

Qui bisogna fermarsi un attimo. Siccome mi raccontava quest’episodio al tempo degli scontri con la nazionale di calcio d’oltralpe, più di vent’anni fa, all’idea che Lucianino detto il Bufalo mitragliasse Barthez e compagni con la Breda io ebbi un moto di subitanea quanto ignobile ilarità. Ma subito ritornai in me stesso:

«Ban parché Luciano t’è sparé ai franzîs, che erano nostri alleati còntr’i tudéssc?». «Ma perché Luciano hai sparato ai francesi, che erano nostri alleati contro i tedeschi?».

Lucianino mostrò sincera ancorché postuma costernazione e allargò le braccia:

«A un sån sbagliè…».

Negli ultimi tempi dovetti passare a piccoli prestiti fittizi che lui si sarebbe impegnato a rifondermi con la pensiån, la pensione sociale. E siccome il rivolo delle piccole somme si andava consolidando in un importo niente male, io mi prenotai scherzando per avere in eredità il suo famoso bastone. In quei giorni lui ebbe l’idea, diciamo così, di morire. Andò in ospedale e sparì.
Allora, mentre accudivo al garbuglio delle mie consuete faccende, d’un tratto mi ritrovai viso a viso con l’estraneità naturale e misurai l’assurdo che la vita grande e abominevole di Lucianino andava adesso dispersa nella profondità dell’oblio, com’era andato disperso il suo vetusto bastone.
Al funerale c’erano soltanto due persone. Una era il sottoscritto. L’altra era la mia cameriera Marlene, pelle di rame.

Bombo

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