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La nuova tramvia di Bologna e la stirpe dei palpeggiatori

La nuova tramvia di Bologna e la stirpe dei palpeggiatori

Ph. comune.bologna.it

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Come oramai sa ogni bolognese, è già in corso in via Saffi un grande cantiere per la realizzazione di una tramvia che si allungherà da Borgo Panigale fino a FICO, attraverso San Felice, Indipendenza e Matteotti. Sarebbe la seconda vita di quel sistema di tram che fu smantellato negli anni Sessanta in nome della modernità di allora. Naturalmente fioriscono le discussioni e infuriano non poche polemiche sull’opportunità di questo revival che ha tutta l’aria di innestarsi direttamente sulle discussioni per la decisione esattamente contraria di cinquant’anni fa. Io stesso, che ricordo benissimo lo sferragliare su quelle rotaie di cui è stata lasciata qualche vestigia in alcuni crocicchi del centro come una sorta di rimorso per un vecchio misfatto, ho difficoltà oggi a prendere posizione precisa in merito alla questione. Finché, qualche giorno fa, non ho fatto visita al figlio di un mio amico che fa il medico presso uno degli ospedali psichiatrici della città. Ivi (avverbio desueto ma consono alla peculiarità lunare della circostanza) ho fatto la conoscenza di un ospite che chiamavano nientemeno che ‘il Professore’. E siccome nel tragitto mi ero imbattuto in alcuni dei suddetti cantieri il discorso che si era imbastito in sala visitatori era scivolato sul dilemma del tram. Fu a questo punto che l’ospite chiamato ‘il Professore’ educatamente si inserì nel cenacolo improvvisato e così lo sentii esordire:

«Cari signori, non c’è alcuna ragione di fare questo tram, non vi rendete conto che non ci sono più i borseggiatori e soprattutto non ci sono più i ‘palpeggiatori’?».

A dispetto del pigiama, per altro perfettamente stirato, pulito e rifinito di un colletto inamidato, vi dico subito che l’alta fronte coi capelli ben pettinati e ondulati sulle tempie, la barba morbida che gli scendeva dal mento, lo sguardo sereno e il pallore delle gote, come nelle stampe dei dotti rinascimentali, potevano benissimo qualificare l’ospite per un professore vero.
Preso atto della situazione distopica, per usare un termine alla moda, ne assunsi immediatamente i toni:

«Caro ‘Professore’, mi perdonerà, ma non capisco cosa c’entrano questa esecrabile genia dei ladri da autobus e la riprovevole presenza dei ‘palpeggiatori’, di cui lei parla, con la costruzione della tramvia».

‘Il Professore’ parve non tenere conto della mia domanda e per tutta risposta si diede a descrivere «com’erano belle le cose una volta». Tagliò abbastanza corto sui borseggiatori, specie di migranti che nella stagione estiva si trasferivano tutti al mare. Fu invece esaustivo sulla stirpe dei ‘palpeggiatori’, altrimenti detti con spirito esotico tocadores, una vera e propria compagnia che egli, in tutta modestia, s’era ingegnato di educare. Il fatto è che, secondo lui, anche la donna da autobus affollato non sarebbe stata naturalmente avversa ad essere accostata da persona avveduta e che si approcciasse nei dovuti modi. Intanto, gli anni d’oro erano stati quei favolosi anni Sessanta quando era nata la minigonna, capo di abbigliamento vocato ad un linguaggio universale. Bisognò allora perseguire l’alto insegnamento, cui egli si era dedicato anima e corpo, nei riguardi di quella banda di entusiasti amici suoi nata spontaneamente dalla suggestione dei tempi e secondo il quale l’educazione era il primo pilastro, mentre da questo discendeva il secondo principio teso a nullificare ogni forma reale o percepita di aggressione.
Capite che ‘il Professore’ stava trascinando me e gli altri visitatori lungo una china alquanto accidentata ed alcuni presenti già accennavano ad allontanarsi imbarazzati. ‘Il Professore’ invece continuava a mostrarsi serissimo e il discorso poté continuare solo perché altri l’avevano presa con una certa ironia.
Mi sarebbe a questo punto estremamente difficile esplicitare le forme poetiche, gli sguardi dissimulatori, il lento e muto fraseggiare che si sarebbe instaurato tra anime e corpi messi a così subitaneo contatto, la reciproca e complice accettazione di un così transeunte destino; difficile da descrivere, secondo il mite ma competente relazionare del ‘Professore’, e difficile da accettare secondo la dignità di me medesimo.
A mano a mano che il racconto procedeva, una dopo l’altra le persone se ne andavano, chi mandando a quel paese con gesti larghi, chi scuotendo la testa sconsolato. Altri, prendendo forse più giustamente la situazione per quello che era, se la rideva a crepapelle.
Procedendo poi nella disamina delle procedure descritte, risultava inevitabile che si verificassero a volte degli incresciosi fraintendimenti, dei veri e propri difetti di comunicazione, che costringevano il nostro ‘Professore’ a trasformarsi da sagace maestro di vita a esperto in ultima istanza di cavilli legislativi.
Il culmine della stagione, a detta del ‘Professore’ a mo’ di conclusione, si sarebbe collocato nel corso del miting di Rimini. In quel periodo, tutta la comunità dei ‘palpeggiatori’ si trasferiva da quelle parti perché le partecipanti a quella manifestazione, infervorate di comunione, pare anelassero a una presta liberazione nella complessa socialità degli autobus che gioiosamente affollavano in attesa di loro, degli amici che lui aveva educato e che dunque accorrevano sui predellini come orsi in attesa dei salmoni.
E però non fu a Bologna, ma bensì sulla linea di Roma 64 in epoca antecovid, andò concludendo ‘il Professore’, che fece la conoscenza di un personaggio prestigioso, di cui mi fece anche il nome. Salito al seguito di una procace turista e della madre, proprio quando lo sportello li schiacciava tutti quanti come sardine, egli era passato subito alle presentazioni, intanto che la ragazza conversava come niente fosse con la madre in qualche lingua sconosciuta.  Incontrò in quella circostanza un’altra mano che lì per lì, dopo breve sconcerto e intenso fraseggiare, fraternamente strinse la sua, mentre egli stava da una parte e quegli dall’altra. Ed era di un giovane alto con lo sguardo rivolto ad uno ieratico altrove, che poi ‘il Professore’ aveva seguito nel tempo quale scienziato che teneva conferenze.
Dopo questa, gli ultimi presenti rimasti se ne andarono sconsolati, facendo ampi gesti come per mandare il relatore a quel paese. Io però volevo cercare la conclusione, giacché presagivo che veleggiava nell’aria.

«Caro ‘Professore’ – gli dissi –, senza offesa verso di lei io ritengo, dal mio punto di vista, che non sia poi una gran perdita e sarebbe piuttosto un certo vantaggio se davvero non ci fossero più i borseggiatori né a maggior ragione questa confraternita come lei dice di ‘palpeggiatori’, ma insisto: perché a questo punto non si dovrebbe fare la tramvia? Forse che il trasporto pubblico doveva servire i ladri e, scusi ancora, le ripeto che non voglio offenderla, gli sporcaccioni?».

«Caro signore, lei è troppo intelligente per non capire – mi rispose pazientemente ‘il Professore’ gratificandomi di un apprezzamento non richiesto –, lei sa che ci sono delle categorie scientifiche, anzi degli oggetti filosofici, addirittura delle essenze metafisiche – e dicendo questo mi parve leggermente impettire –, che si chiamano indicatori. Se non ci sono più i borseggiatori e neanche i ‘palpeggiatori’ che lei aborrisce così tanto, vuol dire che la gente non prende più il trasporto pubblico e perciò, sic et simpliciter – lo giuro, disse proprio così –, il tram non ha più senso di esser fatto!».

Bombo

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Foto: Getty Images (via OneFootball)