La saga di Żvanéṅ Ciavadåor – Il vendicatore (1^ parte: Lo sberleffo)
Evandro Lombardi non era per così dire un modello di avvenenza, dall’aspetto fisico al modo di essere. Una faccia un po’ asimmetrica, un incedere traballante senza essere zoppo, una pancetta prominente senza essere grasso, le spalle incurvate senza essere vecchio. Conversava con lentezza esasperante, come per agevolare nell’ascoltatore la comprensione del suo profondo sapere, mentre l’accentuazione della erre moscia alla francese era atta ad evidenziare la sua personalità superiore. Mancato l’insegnamento universitario e risultato non eletto alle ultime politiche, in quel periodo Lombardi si era adattato a vendere enciclopedie porta a porta. Poteva essere la monumentale Treccani, l’Enciclopedia della scienza e della tecnica, la Storia Universale in corso di stampa. La sua strategia di vendita, incentrata sulla illustrazione professorale, era tesa a sostegno dell’evidenza che il suo commento fosse per sé stesso più importante dell’opera, così da ingenerare nel compratore l’obbligo all’acquisto per sfuggire al disprezzo del venditore.
Una sera a fine lavoro Lombardi, agente di zona, convocò urgentemente in ufficio il suo più giovane e sottoposto collega Giovanni, che dagli amici del suo paese nella Bassa era stato soprannominato Zvanéṅ Ciavadåor. Più di un lustro era passato da quando Giovanni aveva smesso di spalare carriolate di letame nel podere di suo padre. Aveva tagliato di prepotenza il cordone ombelicale con la terra e frequentato con profitto e grandi sacrifici le accademie di arte drammatica. Nel frattempo era diventato bravo come venditore e adesso si era comprato una Giulia GT nuova di zecca. Abbiamo già detto come fosse cresciuto bello ed atletico e di come le ragazze e le signore non gli potessero resistere.
Come arrivò in ufficio, Giovanni trovò il dottor Lombardi in preda ad una strana agitazione. Il quasi accademico della Ca’ Foscari e quasi onorevole, che di solito trattava Giovanni con distaccata benevolenza, questa volta entrò in argomento quasi mendicando solidarietà, più che mai arrotando la erre moscia e raccontando ciò che gli era appena appena successo.
Nel pomeriggio Lombardi aveva suonato ad un campanello al numero… di via… Gli aveva aperto una studentessa di nome Lucrezia, come era scritto sulla scheda di agenzia, che lo accolse con educata gentilezza. Se già sulle prime lei fosse divertita all’aspetto fisico del personaggio non ci è dato saperlo. Certamente lui si presentò accentuando il suo rotacismo e qualificandosi col titolo accademico. Possiamo tranquillamente vederli mentre lei lo fa accomodare e siedono su divano e poltrona l’un contro l’altro armati. Bisogna tener conto che l’atteggiamento reciproco in questi casi, soprattutto un tempo quando la vendita porta a porta era più diffusa, predisponeva il venditore all’aggressività dissimulata che sottintendeva «a questo qui devo strappare la firma», mentre il possibile compratore si predisponeva a un motivato rifiuto. Lombardi estrasse dalla borsa l’ultimo volume della Storia Universale e lo aprì a caso capitando alla pagina dove era riprodotto il manoscritto della famosa formula della massa-energia di Einstein. Accentuando la erre, nonché pigiando il pollice sulle righe, più o meno in questo modo attaccò:
«Nella riluttante incertezza di trascrizione di questa formule, quasi fossero arcani crittogrammi tormentati dal rifiuto a uscir fuori, avvertiamo spauriti il presagio della tragedia».
Lucrezia dovette pensare: «Questo qui me lo devo cucinare a fuoco lento».
Lombardi raccontò che la ragazza lo guardava con un mezzo sorriso e le gambe accavallate senza curarsi della gonna ritirata fino a mezza coscia. Lui notò ma provò a continuare imperterrito. Lei ad un certo punto allungò le gambe e cominciò a giocherellare con le ginocchia apri e chiudi apri e chiudi ma, quando apriva, apriva sempre di più e quando chiudeva, chiudeva sempre di meno.
Lombardi era frustrato e indignato. La ragazza voleva forse sbeffeggiare la sua dignità? Quando Lucrezia aprì le gambe fino a mostrare il gonfiore delle mutandine di pizzo mentre ai bordi sbocciavano corolle perentorie di pelame, Lombardi scoppiò con la sua erre a mitraglia:
«Signorina, lei mi sta ascoltando o si sta mostrando?».
Ma Lucrezia non si scompose nel suo sorriso beffardo: «E lei dottore quando spiega mi guarda negli occhi o guarda in mezzo alle gambe?».
Lombardi alzò il tono: «Io sono il dottor Evandro Lombardi e non tollero che una sfrontata mi ascolti mostrando le proprie vergogne!».
Ma il sorriso di Lucrezia non si smorzò: «Eh! Quante storie! Non ha mai visto una mutanda al vento?».
Lombardi si era sentito provocato e deriso, aveva riposto il volume nella borsa ed era uscito inseguito da trattenute risatine.
Adesso, in ufficio, il dirigente in precaria carriera e il giovane di belle speranze si trovavano accomunati in un’ambascia che esulava dall’ambito lavorativo.
«Lei deve farmi giustizia dell’impertinenza di quella giovane!», ringhiò con petrosa lentezza Lombardi come apostrofando Giovanni per una qualche sua colpa e sedendo alla scrivania con le spalle più curve del solito.
Il caso vuole che quella sera fosse presente anche Josef Manfrina, un ex medico espulso dall’albo per indegnità che si era ridotto a fare il venditore porta a porta. Manfrina fu preso da una sorta di euforia ascoltando il resoconto di Lombardi e con frenetica immaginazione di certo un po’ torbida contribuì non poco ad escogitare un piano di rivincita.
Nell’ufficio dell’agenzia erano catalogate tutte schede dei clienti da visitare fornite dalla casa editrice. Nome cognome, scuole frequentate, eventuali titoli di studio, posizione sociale ed economica: anche quelli di questa Lucrezia, e che già erano serviti a Lombardi per la tentata vendita. Era stabilito che quei dati dovessero servire a Giovanni per avvicinare la ragazza senza fare riferimenti all’episodio di Lombardi. Ma come cominciare? Josef Manfrina formulò questo piano: Giovanni doveva telefonarle dicendo che lui era un giovane attore della TV. Che l’aveva vista ad una festa, che era rimasto colpito e voleva rivederla.
«Tu sei davvero un aspirante attore – disse Manfrina a Giovanni –, non ti dovrebbe essere difficile entrare nella parte».
Lombardi fidava sul fatto che la tipa non avrebbe resistito alla curiosità di incontrare questo misterioso giovane attore. Egli naturalmente mise in guardia Giovanni dalla perfidia della ragazza, dal rischio che correva di essere a sua volta umiliato. Ma Giovanni si sentiva forte perché ancora su di lui aleggiava lo spirito del suo maestro Guståṅ, che in quel momento gli ricordava il primo motore di ogni corteggiamento: la rånda dal faicàtt, la ricognizione circolare del falco, e con questo si fece carico della missione determinato a non finire scornato egli stesso.
Prossima puntata: Il vendicatore (2^ parte: Giovannino in campo).
Bombo
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