La saga di Żvanéṅ Ciavadåor – Il vendicatore (2^ parte: Giovannino in campo)
Dopo sette giorni, tempo appena sufficiente per creare stacco dalla visita di Lombardi, Giovanni telefonò alla ragazza. Due erano le abilità telefoniche che Giovanni provvide a far concorrere nei primi secondi e poi minuti dell’aggancio: la sicurezza del venditore e l’impostazione della voce su toni bassi e suadenti.
«Signorina Lucrezia, buon pomeriggio – cominciò Giovanni –, se ho sbagliato numero le chiedo scusa».
«Ti rispondo se ti presenti da persona civile. Chi sei, che diavolo vuoi?».
«Mi chiamo Giovanni, sono un attore della televisione. L’ho notata ad una festa ma non ho potuto presentarmi, vorrei conoscerla di persona».
«Che tirata lunga! Parla chiaro o ti butto giù il telefono! Come fai a sapere che mi chiamo Lucrezia?».
«La vita è fatta di sorprese ed incontri. Io l’ho vista senza poterla conoscere, lei mi ha conosciuto senza avermi visto. Non mi vuole conoscere come attore della TV?».
«Come attore che dice queste stupidaggini, no di certo!».
«Ha ragione, se mi permette di incontrarla, le reciterò un monologo di Shakespeare».
«Per essere uno scherzo idiota ti sei preparato bene, vuota il sacco!».
«Vorrei vuotarlo di persona, può concedermi un quarto d’ora del suo tempo per ricevermi? Ho anche l’indirizzo»
«E sia. Ma patti chiari, signor attore, un quarto d’ora per sputare tutto. E alla prima cretinata ti sbatto la porta in faccia! E risparmiati il monologo! Un quarto d’ora! L’indirizzo lo sai».
«Grazie mia regina!».
«Cominci subito con le idiozie?».
Il giorno stabilito, Giovanni parcheggiò la sua Giulia GT sotto casa della ragazza, una di quelle palazzine nuove dello sviluppo edilizio anni Sessanta. Suonò il campanello e attese, assumendo un’espressione serena e vagamente sorridente, come di chi è portatore dell’evidenza delle cose, della naturalità del destino. La ragazza aprì e parlò per prima.
«Eccolo qui il divo! – esclamò più sarcastica che ironica, ma con uno squillare della voce che comunicava un educato – . Benvenuto, ma guarda un po’!».
Lei lo percorse in tutta la sua stazza, le spalle larghe, i pettorali pronunciati.
«La bella e la bestia – rispose lui un po’ per aprire teatralmente, ma soprattutto per dimostrarsi moderno e sbarazzino, senza i soliti convenevoli, piacere di qua, piacere di là…
«Io sono Lucrezia».
«Io sono Giovanni».
Lui aveva preso visione istantanea del corpo della ragazza, ma mentre lei lo misurava, lui la guardava negli occhi, attento alla legge per cui la donna vuole essere ammirata prima per l’anima, poi per il corpo. E gli occhi di lei lanciavano lampi di sfida, mentre il corpo non era di una bellezza classica, alto e slanciato, ma bensì ben tornito e tosto, i seni dritti e senza sostegno: gli sovvenne e comprese in quel momento lo scorno doloroso subito da Lombardi.
«Entra pure bel bestione – disse lei, ora mi dirai dove mi hai vista», e lo precedette in una saletta studio piena di libri.
Le schermaglie cominciarono subito con una modalità che potremmo definire di sotterranea belligeranza. Lucrezia chiese in quale festa lui l’avesse vista.
«Non ti ho solo vista, ho premesso che ti ho notata – e si compiacque della propria risposta –, se non ti avessi notata non sarei qui».
«Ottima risposta – replicò lei beffarda –, mi hai notata… e come mai non ti sei presentato come hai fatto ora?».
«Avrei tanto voluto – rispose Giovanni –, ma eri talmente impegnata a tenere a bada i tuoi numerosi corteggiatori…».
Lei tacque toccata nella sua vanità: «E chi ti ha dato il mio telefono?».
«Questo è un segreto che tengo per dirtelo un giorno», rispose lui, contento di essersela cavata.
«Io però non ti ho mai notato alla TV», continuò lei con insistenza inquisitoria.
Giovanni tentò un bluff: «Hai visto Delitto e castigo?».
«No».
«Mi è andata bene», pensò lui.
«Hai visto per caso Tesi di laurea con Daniel Gélin?», bluffò di nuovo.
«No», rispose lei.
«Mi è andata ancora bene», pensò lui. «Facevo l’amante della moglie di Gélin».
«Oh l’amante! E saresti ancora qui per fare l’amante?».
«Non prima che tu ti sia invaghita di me».
«Ci vai giù deciso – disse lei col solito tono –, peccato per te che a me piacciano i magroni…», esclamò perentoria.
Giovanni soppesava ogni parola, ogni suo tono per studiare una linea di condotta, anche perché Lombardi non aveva specificato che tipo di punizione avrebbe preferito. Doveva violentarla? No di sicuro! Doveva farla innamorare perdutamente per poi piantarla? Ma questa ipotesi gli sembrava sempre meno perseguibile.
«Posso aspettare – disse, e potrei anche dimagrire per te».
Lei scoppiò in una fragorosa risata: «Sai essere anche divertente!», e quel ‘divertente’ suonava per ‘deficiente’.
Lucrezia lo esaminava sempre più di sottecchi, come per scoprire una falla nei suoi alibi: «Parlami di quella famosa festa».
«Eh no – rispose Giovanni prontamente –, fa parte del segreto!».
Giovanni sentiva che lei si stava innervosendo, nel suo caratterino non poteva sopportare che un bellimbusto qualunque potesse entrare impunemente in casa sua, parlare di segreti e rintuzzare tutte le sue obiezioni: meditava forse di stangarlo? Tira la corda di qua, tira la corda di là, oramai s’era fatta sera quando lei con un guizzo di determinazione sfoderò un’estrema arma di dileggio.
«Beh sveleremo dopo i tuoi segreti. Ora io devo fare il bagno, se vuoi accomodarti di là…».
Prossima puntata: Il vendicatore (3^ parte: Guerra di posizione).
Bombo
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