L'oro del Reno (Primo capitolo: Tranvia e così sia...)

L’oro del Reno (Primo capitolo: Tranvia e così sia…)

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«Parigi cambia
ma niente nella mia malinconia
è cambiato».

[Charles Baudelaire – Il cigno]

Diceva un mio strampalato amico che il Reno deve essere un fiume ben lungo se nasce in Appennino e finisce in Germania… Lasciamo stare gli aneddoti. In questo momento Bologna è piena dei cantieri per la costruzione della nuova tranvia. Di nuova tranvia noi abbiamo già parlato scherzosamente in un nostro raccontino. Anche adesso (almeno stavolta) non ne parleremo che di sguincio. Noi infatti non siamo pregiudizialmente contrari all’operazione tranvia, anzi. Formuliamo l’auspicio che il tram ci possa rendere una città più moderna, più silenziosa, più pulita.
Parliamo del tram perché uno snodo cruciale della futura linea rossa cade all’incrocio tra le vie Riva di Reno e San Felice, dove c’era il ponte sul Canale di Reno, lo scavo millenario che parte dalla chiusa di Casalecchio, passa nei tempi nostri davanti allo stadio, entra in centro da via della Grada, percorre Riva di Reno fino alle Moline, sterza a sinistra sotto la gelateria di Benito, dopo la Montagnola si congiunge all’Aposa e ai tre canali di Savena (quello che vien giù lungo tre rami dai giardini Margherita), sterza di nuovo a radicchio e torna a ponente fin sotto il Cavaticcio dove forma il Navile per tornare in Reno.
Vale la pena di ricordare che una volta, navigando coi barconi sul Navile, si poteva arrivare alle Valli del Po e di lì fino a Venezia, ma di questo parleremo casomai un’altra volta. Per ora diciamo che qualcuno, vedendo i cantieri in Riva di Reno, ha pensato: «Stanno lavorando per riaprire il canale». Tranquilli, non è questo il progetto intenzionale. Dal mio punto di vista – e provocatoriamente – sarei portato a dire: «Magari!». Però non voglio scontrarmi a freddo con opinioni avverse: io sono uno polemico, ma non mi piace litigare coi benpensanti. I benpensanti la sanno lunga, sono troppo forti nella loro saggia prudenza. E poi hanno paura dei topi. E delle zanzare. Zanzare che non ci sono dove l’acqua scorre. Io invece ho pochi argomenti da portare avanti, e tutti gravati da un certo tasso di inutilità. Argomenti legati a ubbie come l’estetica, sospesi nell’aria come la nostalgia.
Per ora noto che qualcuno, in qualche modo, si ricorda, o ha sentito dire, che Bologna è percorsa da un bel po’ di corsi d’acqua e che questi corsi d’acqua sono stati tombati. Non si vedono più, ma ci sono. Ci sono come ci sono ancora gli antenati che abbiamo sepolto e che continuano ad alimentarci della loro cultura sul cui conio, intendiamoci, non starei a scommettere più di tanto: ma non è questo il tema. Un soprassalto di memoria ci fu nella gente quando esondò il Ravone. Il pavimento di un palazzo all’angolo di Vittorio Veneto scoppiò e l’acqua del torrente se ne andò per via Saffi. Il fatto è che Anche il Ravone non passa solo sotto le strade. Passa anche sotto le case. Come mai? Beh è accaduto tante volte, il Comune ricavava aree fabbricabili anche dal letto dei fiumi e le cedeva ai privati. Naturalmente per pubblico beneficio.
Si cominciò mille anni fa demolendo le mura di selenite, quelle della prima cerchia, Il risultato non fu disprezzabile, quella volta. Lo vediamo nel plastico impianto di Palazzo Fava in via Manzoni. Nei tempi più recenti, quelli del Ravone e dei suoi fratelli, lo stravolgimento e la rettificazione della geografia per dar luogo alla prima periferia, e ricavare il massimo profitto a breve dai suoli non mi pare abbia prodotto risultati ugualmente apprezzabili. Sarà vero che qualcuno può anche trovare normale il reticolo della periferia affastellata nel ‘900, e in questo caso ritiro timidamente il mio giudizio. Oso solo osservare che mi ritrovo di fronte a un contesto urbano senz’anima e senza riferimenti. L’anima, casomai, l’abbiamo messa nel sottosuolo.
Dai colli sopra via Saragozza nasce il rio Meloncello, che un tempo arrivava al Reno. Il Ravone sfocia in Reno, dove un tempo gorgogliavano le cascatelle. Quelle cascatelle dove anch’io sono andato a fare il bagno con le ragazzine e che adesso sono state cementate dopo la costruzione dell’alta velocità. La Ghisiliera affianca il Ravone in via Montenero e lo accompagna fin tutta via del Chiù. Attraverso un ponte canale nei pressi del tiro a segno lo scavalca per andare verso via della Volta e nei pressi di Bertalia riceve la canaletta delle Lame, per poi passare al Mulino Bruciato e a Villa Clara per andare in Reno.
Dall’altra parte di Bologna le cose sono andate anche peggio. Là scendeva serpentiforme il Savena. Il Savena non aveva un percorso preciso, il letto si spostava a seconda delle inondazioni e nel 1774, attraverso un fiumicello che si chiamava rio Pollo, fu deviato nell’Idice nei pressi dell’attuale via Alberto Mario e magari ne riparleremo. Ma l’impronta dei vecchi percorsi era rimasta. Vedete come via Bellaria è asimmetrica rispetti allo squadrato reticolo circostante. E come s’infossa la depressione in via Rimesse, dall’informe piazza Mickiewicz fin dietro alla stazione e fino al Reno.
Forse che non fosse stato possibile, che non fosse immaginabile pianificare una crescita urbana rispettosa della geografia così com’era arrivata fino a noi? Impossibile la fantasia di ricalcare le strade sul tracciato degli antichi corsi fluviali, così da rendere perennemente riconoscibili gli ultimi orizzonti prima di noi? Oggi non si capisce niente, sono strade che percorri di corsa in automobile. Chi ci abita, qui come in tutta la Bologna periferica, ci abita come potrebbe abitare in qualsiasi altro posto disordinatamente urbanizzato del mondo…
Ma forse la nostra ingenuità è ragagnare su quello che è stato.

«Noi non siamo appassionati ad istanze su quello che è stato, preferiamo progettare il futuro!».

Ed eccoci presi in contropiede dal trópos dello scaltro politico, che con collaudato tunnel salta il terzino e butta la palla in avanti. Questa è anche necessariamente la conclusione dell’uomo comune che a certi argomenti si stringe nelle spalle, tante sono le cose troppo urgenti cui pensare. Anche lui guarda avanti.
Io però non mi astengo dall’esprimere la convinzione che quando uno, individuale o istituzionale che sia, ha fatto una cazzata prima, di sicuro te la ripeterà in futuro, in qualche modo.
E veniamo all’incrocio di via Riva di Reno, delizia e nodo scorsoio della prossima linea rossa del tram. A questo proposito vi scrivo qualcosa di rigorosamente irrilevante, perché qualcuno dovrà pure occuparsi delle cose inutili, delle cose passate e delle cause perse…
Nei mesi scorsi è stato rimosso il monumento alla lavandaia che stava all’inizio di via della Grada, pare per restauri, naturalmente contiamo di rivederla. Nelle sue forme ignude ricordava che sotto una schiava, condannata a un lavoro durissimo, c’era una donna. Che forse era nostra madre o forse nostra sorella. Quando la statua fu collocata, verso il 2000, io feci stampare un libriccino scherzoso che intitolai La madonna della Grada, che era quella figura di bronzo con il culo per aria.
Ve ne riporto un brano.

Continua…

Bombo

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Foto copertina: zerocinquantuno.it

Foto interna: finestresullarte.info