L’acqua freddissima e lieve che sorgendo dal pozzo del casaro Antonio Andrani, detto Tony Andrèn, si versava nella fontana dell’agrario Emilio Loup e attraverso misteriose propaggini riemergeva alimentando le fontanelle del frutteto di Monaldo Galliera, contadino aristocratico che indossava sempre la giacca da festa, cominciò a sparire in concomitanza dell’evento che vi sto per raccontare. Non si sa tuttavia se fu l’acqua a fuggire il dramma o il dramma si dispose a prosciugarne l’occulta sorgente. Fu pertanto nel corso di un tramonto torrenziale, con fuggevoli nubi come cupola d’immensa cattedrale trapassata di buio e di luce, che Lea se ne andò dalla casa di Tony senza che nessuno sapesse il perché, né poi si è saputo più niente di preciso.
Io da ragazzo una mattina li avevo conosciuti, Lea e suo marito, che andai a vedere su per la scolina che portava alla spianata del prato, curioso al martellare metodico di un loro lavoro cortilivo. E fu appena stringendo le ciglia e scostando un poco la testa dagli zigomi striati dal sole che Lea mi catalogò in un irridente lampo blu scuro che diceva: «Tu sei ancora piccolo». Era così dimentica di sé e del suo incedere intenso, che forme le si palesavano persino sotto il vestimento da maschio. Per tutta la mattina invidiai quell’adulto che con larghi e inesorabili gesti martellava con una mazza certe teste di cuneo con colpi precisi, mentre lei gli reggeva i picchetti senza alcuna paura.
Era forse per via dell’acqua del pozzo, sulla vena che alimentava la fontana, che Tony Andrèn si vantava in giro di non mai ammalarsi e sbeffeggiava tutti quelli che andavano dal medico e prendevano le medicine. Quando però Lea se ne andò dalla sua casa, la sera del tramonto di alabastro, Tony appoggiò la mazza al tronco della quercia più vecchia e stette a guatare la pianura circostante dall’andito del grande portone rivolto a ponente. Rimase così per tre giorni, poi salì su in granaio e si tagliò la gola col suo proprio rasoio da barba. Se ne accorsero i passanti perché un fiume di sangue scaturì dal tetto del casamento, inondò le pareti dell’abbaino, gorgogliò a cascata giù per le scale e colò tra la gramigna del prato fino alla strada e la fontana.
Così com’era in squadra che si preparava il maiale per l’investitura, sbollentandogli la cotenna e rasandogli le setole, allo stesso modo si dettero convegno allora i vicini per dare finale dignità al corpo di Tony, tutto imbrattato di sangue incrostato e deposto sul tavolaccio nel mezzo dell’aia. Dal pozzo della fontana cominciarono a fare la spola e si dettero a fare il passamano, chi facendo fuoco sotto il paiolo fumigante mettendo l’acqua a bollire, chi mondando il corpo del morto e chi sciacquandogli a successive secchiate i residui delle lordure.
«Pórta l’acqua chélda che qualla fradda la j è». «Porta l’acqua calda che di acqua fredda ce n’è!», tuonava nel vociante trambusto l’allegro comando di quello col bruscone che sfregava senza misericordia sulla spessa pellaccia di Tony. Sì, di acqua ce n’era e ce n’era in abbondanza.
Però da quei giorni i ragazzetti che andando a scuola saltavamo la siepe del fondo Galliera cominciarono a trovare che le fontanelle tossicchiavano e non regalavano più la sperata frescura. Anche la fontana di Loup cominciò ad essere parca di zampilli, né il vecchio acquaiolo Primàtt Mulinèla ne trovava più abbastanza per la vendita delle sue limonate. Furono gli stessi giorni che i fontanili di Colunga, sotto le colline, cessarono di eruttare per aria colonne di acqua sorgiva ad alimentare il rio Fossano, che a compenso si riempì dei liquami della macelleria industriale che fabbricava gli ambugher di McDonald’s a Prunaro; e poi dopo degli scoli degli impianti di lavaggio metalli Teknix, giacché avevano dismesso l’antico mulino da grano. Le ranocchie cessarono di gracchiare lungo la Fossamarza e lungo le bonifiche su cui il Fossano affluiva una volta. I pescegatti boccheggiarono a pancia per aria. Le carpe che venivano dalle valli di Campotto provarono per qualche tempo a risalire la scarsa corrente, strusciandosi l’un l’altra insensate nel periodo degli amori, saltando a fatica le secche e risalendo le cascatelle con prodigiose piroette. Finché un giorno non desistettero del tutto. Non si vedeva più in acqua un solo girino, non c’era più un mazzacroccolo. Sparirono tutti i panzironi, che si moltiplicavano a frotte. Stettero alla larga le libellule svelte dai variopinti colori. Spariron dal Fossano persino le sanguisughe e tutti gli altri bigatti. Morirono le anadrelle, alghe smeraldo a distesa, per mai più riformarsi.
Se n’era andata nel frattempo la memoria di Tony Andrèn e dell’acqua della fontana che era stata lavacro del suo funerale, e adesso tra le erbe palustri dei pigri canali non si muoveva più ombra di vivente, né che fosse buono né che fosse cattivo.
Bombo
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