E come Eneas
Nell’estate del 1980 aspettavamo con ansia la grande novità: dopo la riapertura delle frontiere, in Serie A si poteva tesserare un calciatore straniero.
Gigi Radice e Riccardo Sogliano avevano lasciato intendere che l’uomo giusto era il centravanti del San Paolo, cannoniere strampalato di quasi 1,90, storie di espulsioni e squalifiche: Serginho. Anche nazionale brasiliano, in alternanza ai vari Socrates (poi arretrato), Roberto Dinamite, Reinaldo e Juary.
Quando tornarono a Bologna, annunciarono invece… Eneas de Camargo. Credo che nessuno lo conoscesse, a parte il sottoscritto.
Giocava col 10 nella Portuguesa de Desportos. In campionato aveva fatto un sacco di gol, ma con la Seleçao non aveva ben figurato. I suoi concorrenti, peraltro, si chiamavano Zico e Renato, anche quest’ultimo del San Paolo.
Noi tifosi, comunque, eravamo molto curiosi.
Osservando le sue movenze sul rettangolo verde, si capiva che era di un’altra categoria: tecnica sopraffina.
Il problema delle sue prestazioni non sempre convincenti era una solo. No, non le storie del freddo e della nostalgia, quelle sono balle.
La verità è che Eneas non era un attaccante, bensì una tipica mezzala di punta. Ma siccome in Brasile quel ruolo si chiamava ponta de lança ed effettivamente il ragazzo segnava tanto, i nostri ‘competentissimi’ tecnici non compresero la sua collocazione ideale.
Malgrado tutto, in curva era adorato e si cantava: «Negrooooo, e chi lo ferma il nostro negrooooo!». E vi assicuro che il termine non era offensivo, anzi, lo amavamo.
Quando nel febbraio 1981 realizzò un bellissimo gol in tuffo di testa, quello del 4-0 contro il Perugia, il Dall’Ara esplose d’amore.
Riposa in pase, mitico eroe.
Roberto Porrelli
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