Non potevo permettermi di non parlare di Helmut Haller, il numero 10 del Bologna campione d’Italia nel 1964.
Non l’ho mai visto giocare, ma quando chiedevo a mio padre di citarmi un giocatore forte, forte per davvero, lui esclamava: «Ah soccia Haller! Quando aveva la palla tra i piedi non gliela portava via nessuno!». Un’immagine semplice ma efficace da ‘sparare’ ad un figlio che, suo malgrado, parlava sempre del BFC.
Per arricchire la rubrica, però, mi sono rivolto a chi ha potuto ammirarlo sul rettangolo verde.
Giancarlo, mio zio, mi racconta sempre che Haller aveva uno straordinario senso della posizione. Era il genio che inventava per Nielsen e Pascutti, che metteva Perani in condizioni di crossare, e che insieme a Bulgarelli e Fogli costituiva uno dei reparti di centrocampo più belli e forti forse di tutti i tempi.
Renato, ‘l’anonimo budriese’, il re delle crêpes di via Riva Reno, mi ha poi spiegato nel dettaglio come se lo ricorda: «C’è stato un tempo in cui a Bologna potevamo permetterci il più prestigioso giocatore uscito dai Mondiali. Era il 1962 e il talento in questione era un 23enne biondo brevilineo definito dalla critica “grandissimo interno-centravanti”. Fu così che un tifoso mio coetaneo di allora poté vantarsi di fronte agli juventini e agli ‘odiati’ interisti che “Mé a tén par Haller!”.
Il Bologna veniva da due buoni campionati, l’ultimo buonissimo, e il telaio era quello che avrebbe conquistato lo scudetto del ’64, Mancavano soltanto un portiere solido e un fantasista con senso del gol da affiancare al ‘Bulgaro’ in mezzo al campo, per essere la più bella squadra d’Italia: Haller, ‘il Panzer’, per l’appunto.
A questo tedesco piacevano parecchio la birra e le donne, ma aveva un piede e un occhio nell’inventare l’azione come non se n’erano mai visti. E se a volte gigioneggiava, perché se lo poteva permettere, e con la grazia di una farfalla raccoglieva e si portava via il pallone di tacco, quando il gioco si faceva duro sentiva l’importanza del momento e rispondeva alla grande. Come nell’anno del tricolore: in una decisiva sfida tra Bologna e Juventus, ad esempio, rinunciò completamente allo spettacolo e pilotò con sagacia i compagni alla vittoria.
A fine partita ebbe a dire: “Io oggi giocato per squadra”… Carogna d’un Haller, voleva sottolineare che spesso giocava per se stesso e per il pubblico. Ma del resto la curva bolognese amava (e ama ancora) il bel gioco, tutti quelli di allora lo perdonarono e nessuno sotto le Due Torri lo ha mai dimenticato».
Roberto Porrelli
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